Dovrebbe far riflettere il fatto che il terzo settore (universalmente e più correttamente in questi giorni chiamato "non profit") entri nel dibattito pubblico da protagonista solo quando è sotto attacco.
La vicenda della "norma raddoppia ires" è quanto di più interessante questo mondo abbia vissuto negli ultimi anni per una serie di ragioni.
La prima, indubbiamente, riguarda la sua storica debolezza politica almeno a livello nazionale: se in Italia ci sono degli interessi intoccabili, e sono molti, non riguardano il terzo settore che può vedere stravolgere la propria fiscalità senza che nessuno abbia chiesto il parere a chicchessia.
La seconda ragione è, purtroppo, la conferma della fatica a portare avanti un disegno riformatore coerente: possono ancora spuntare in continuazione norme che vanno in controtendenza rispetto a quelle della riforma che faticosamente voleva e vorrebbe costruire un piano solido per chi opera nel terzo settore stesso.
La terza ragione, a cui l'involontario vuole dedicare questo post, è che siamo finiti nuovamente ostaggio di una visione quasi ideologica che non lascia spazio alle tante dimensioni rilevanti dell'economica civile: il bene (il terzo settore) contro il male (le tasse), i cattivi al governo contro i poveri volontari. Una visione utile a radicalizzare il dibattito e che ha una sua forza politica in questa ideologica era post ideologica ("pagheranno i poveri"), ma che a ben vedere è penalizzante per il non profit e la sua immagine.
Il motivo è semplice: abbiamo scorso per un'ora i commenti ai post più virali che i grandi media hanno dedicato al tema e possiamo catalogare in tre insiemi la "pancia del paese" contro il non profit.
La prima famiglia di ragioni è che giusto tassare gli utili di chi non dovrebbe fare utili. La seconda attiene alla maschera che il non profit tutto darebbe a chi poi fa profitti mascherati (e sulla pelle delle persone). La terza è che è l'ora di finirla di finanziare un settore che lucra sui poveri, come se le agevolazioni fossero erogazioni, come se fossero favori.
Di falsi miti e stereotipi si nutre l'italiano tutti i giorni e sarebbe sorprendente se anche il terzo settore non ne fosse vittima. Ma qua entra in gioco l'occasione persa in questo dibattito: non è ingiusto alzare la tassazione sui presunti utili del non profit perché si fa del male al bene, è ingiusto perché una politica intelligente e lungimirante non metterebbe mai i bastoni fra le ruote di un meccanismo che, oltre ad essere imprescindibile per il sistema di welfare, è un meccanismo redistributivo. Anche quando assume una rilevanza economica (come se fosse peccato), investe in nuovi servizi e mezzi, infrastrutture, cultura, formazione e genera cambiamento sociale, facendo finire le risorse non nelle tasche di pochi, ma anche nelle buste paga di molti a cui dà lavoro. Questo è il meccanismo che deve essere comunicato e in modo forte dal terzo settore. Certo è più complicato della lotta del male contro il bene, ma se si rinuncia a raccontare il terzo settore per quello che è, ci troveremo di nuovo di fronte ad attacchi fiscali e non solo. Perché ci indeboliremo ulteriormente.
Si è preferito per ragioni politiche incentrare il dibattito su cosa sia buono o cattivo, su quanto sia malvagio tassare il bene. Ma dobbiamo imparare a ribaltare il meccanismo: è ingiusto colpire il giusto, è irragionevole, in qualsiasi visione politica di buon senso, attaccare i meccanismi economici che creano redistribuzione, equità e inclusione. Non pagheranno solo i poveri, pagheremo tutti. Non solo per ragioni morali, né perché si deludono i tanti buoni volontari. Ma perché si attacca una visione di società che può dare un futuro migliore al Paese.
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