Mondo

Non dimentichiamo lo Zimbabwe

di Giulio Albanese

Domani una delegazione di alti funzionari dell’Unione europea (Ue) visiterà lo Zimbabwe per incontrare il presidente Robert Mugabe e il premier Morgan Tsvangirai. Come già scritto su questo blog, un tempo lo Zimbabwe era tra i più floridi Paesi del continente africano, ma è poi precipitato in una gravissima crisi economica che ha generato un tasso di disoccupazione attorno al 96%. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha), attualmente vi sono 6 milioni di persone nell’ex Rhodesia che hanno limitato o nessun accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, sia nelle zone rurali come in quelle urbane. Molte delle responsabilità ricadono naturalmente sul “presidente padrone” Mugabe, al potere dal 1980, il quale è stato costretto a scendere a patti con il leader dell’opposizione Tsvangirai, vero vincitore delle elezioni presidenziali del 2008, manipolate dai seguaci di Mugabe. Dopo mesi di estenuanti trattative per la spartizione dei ministeri, i due hanno dato vita ad un governo di unità nazionale nel marzo di quest’anno che comunque stenta a decollare. Nei giorni scorsi i leader della Sadc, l’organizzazione che riunisce i Paesi dell’Africa Australe, hanno chiesto formalmente la cancellazione totale ed incondizionata della sanzioni internazionali imposte allo Zimbabwe nel 2002. Secondo la Sadc, tale misura è indispensabile per rilanciare il governo di unità nazionale. L’abolizione delle sanzioni, infatti, consentirebbe di accelerare l’agognata ripresa economica con un impatto positivo sulla stremata popolazione civile. Tra i più decisi a chiedere l’eliminazione delle sanzioni senza condizioni è il presidente del Sudafrica, Jacob Zuma. Sta di fatto che per il momento la Ue esclude una revoca del provvedimento, non considerando soddisfacenti i progressi in materia di diritti umani e più in generale dal punto di vista della democrazia. Basti pensare che in questi mesi numerosi deputati del Movimento per il Cambiamento Democratico (Mdc) sono stati arrestati con accuse infondate. Si tratterebbe di una strategia messa a punto da Mugabe per avere mano libera in parlamento. Non v’è dubbio che Tsvangirai sta davvero facendo i salti mortali per tentare di riportare a galla il suo Paese. In una recente intervista rilasciata al Financial Times, il premier ha invitato le compagnie del settore minerario a investire nei ricchi giacimenti di oro, nickel, platino e diamanti presenti nello Zimbabwe, assicurando che Harare non si intrometterà negli affari delle compagnie private. La questione è certamente molto delicata perché se da una parte servono aiuti internazionali e investimenti stranieri per risollevare le sorti dello Zimbabwe, dall’altra è importante che il governo riesca a definire delle forme di partenariato in grado di tutelare i legittimi interessi della gente, scongiurando la svendita delle ricchezze nazionali. Purtroppo il timore è che finché Mugabe rimarrà al potere, Tsvangirai avrà le mani legate. Personalmente ritengo che di fronte alla morte per inedia e pandemie della popolazione locale, la comunità internazionale debba intervenire energicamente con aiuti e finanziamenti d’ogni genere, cercando al contempo di sostenere politicamente Tsvangirai, l’unico capace di contrastare, sulla scena nazionale, le prepotenze di Mugabe. Fa bene dunque la Sadc a chiedere la cancellazione delle sanzioni, anche se i leader dell’Africa Australe dovrebbero sforzarsi maggiormente di trovare un modo per far uscire di scena Mugabe che, com’è noto, continua a fare il bello e il cattivo tempo sulla pelle della propria gente. Una cosa è certa: non dimentichiamo lo Zimbabwe. È l’appello che lancio a voi, cari lettori, nella consapevolezza che di questo passo il Paese e la sua gente, stando anche alle testimonianze che ho raccolto dalla società civile, rischia davvero di sprofondare nei bassifondi della Storia.

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