Mondo

Non dimentichiamo il Sudan!

di Giulio Albanese

Il Sudan non si smentisce mai. Da quelle parti, tutto sembra sempre ridursi ad una ingarbugliata matassa di relazioni diplomatiche, proclami politici e promesse mancate che, alla prova dei fatti, lasciano drammaticamente irrisolte, se non addirittura complicano a dismisura, le questioni scottanti del Darfur e delle Regioni Meridionali. Ma andiamo per ordine.

Nell’aprile scorso, Omar Hassan el Beshir è stato confermato presidente, affermando con toni altisonanti che farà di tutto per scongiurare una divisione del Paese, con un esplicito riferimento al referendum previsto il prossimo anno per sancire l’autodeterminazione delle regioni meridionali. E mentre continua a pesare sulla sua persona il mandato di cattura internazionale spiccato dal Tribunale dell’Aja, Beshir continua a usare la politica di sempre, quella del “bastone e la carota”. Da una parte dice di voler concludere i negoziati di pace di Doha (Qatar) con le formazioni ribelli darfuriane, dall’altra chiede alla Libia l’estradizione di Khalil Ibnrahim, leader dei ribelli del Jem (Movimento per la Giustizia e l’Eguaglianza), che si trova a Tripoli dopo aver ricevuto il rifiuto delle autorità ciadiane di accoglierlo sul loro territorio. E sebbene il governo libico si sia rifiutato domenica scorsa di consegnare ai sudanesi il capo ribelle, non si capisce francamente quali siano gli assetti all’interno degli stessi Paesi filo-islamici. Il Ciad ha infatti ricucito lo strappo con Khartoum, riallacciando un dialogo insperato, anche se poi tra i due governi la diffidenza reciproca è sempre alle stelle proprio per l’esito ancora indeciso del conflitto che dal febbraio del 2003 insanguina il Darfur.

Da rilevare che secondo un documento delle Nazioni Unite pubblicato  il 7 giugno scorso, i combattimenti  nel Darfur nel mese di Maggio hanno provocato quasi seicento morti. E’ il mese più sanguinoso dal 2008, anno in cui fu dispiegata la missione ibrida di peace-keeping  nella regione del Sudan occidentale. Il documento della missione delle Nazioni Unite-Unione Africana  tra i morti ne conta 440 causati dallo scontro su larga scala tra ribelli e forze governative, mentre i combattimenti tra tribù arabe rivali hanno provocato oltre un centinaio di decessi.  Intanto è giunta notizia che Beshir, proprio perché ricercato dal Tribunale dell’Aja, non prenderà parte al summit dell’Unione Africana (Ua) in programma a Kampala (Uganda) dal 19 al 27 luglio. Un avvertimento simile era giunto al presidente sudanese la settimana scorsa dal suo omologo sudafricano, Jacob Zuma, il quale l’aveva messo in guardia sul fatto che se avesse avuto intenzione di seguire i Mondiali di Calcio sarebbe stato arrestato. E sempre a proposito di Darfur, si è appreso ieri che formazioni armate nomadiche di sangue arabo, gli Humr/Messiria e i Rizaygat, appartenenti alla famiglia estesa dei Baggara, insediata nel Sudan Occidentale e nel Ciad Orientale, si sono scontrate sul versante occidentale della cittadina di Kass, nel Darfur meridionale, con un bilancio di oltre 40 morti. E dire che questi gruppi armati hanno costituito per anni l’ossatura dei Janjaweed, i famigerati “diavoli a cavallo”, la milizia filo-governativa sudanese che ha seminato impunemente morte e distruzione nel Darfur. Un fatto che dimostra il livello di confusione e violenza che serpeggia nella regione.

E come se non bastasse, la situazione è incerta anche nel Sudan meridionale. Perché se è vero che Beshir pare assegnerà il ministero del Petrolio a un esponente degli ex ribelli dello Splm (Movimento per la liberazione popolare del Sudan) – i quali, a loro volta, dovranno rinunciare agli Esteri, destinati al Partito di Beshir, il National Congress – dall’altra Khartoum continua ad intrattenere relazioni con i ribelli nordugandesi dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) che stanno facendo disastri sia nella Repubblica Democratica del Congo, come anche in quella Centrafricana. A questo proposito, la rivelazione più inquietante viene da fonti della società civile che hanno chiesto l’anonimato per ovvie ragioni di sicurezza, secondo cui i ribelli dello Lra, sotto il comando del sanguinario Joseph Kony, hanno raggiunto, tra gennaio e febbraio scorsi, dopo un’estenuante marcia, il territorio darfuriano dove sarebbero stati foraggiati dall’esercito sudanese con armi e munizioni. Il piano di Khartoum sarebbe quello di utilizzare questi ribelli per destabilizzare, nei prossimi mesi, il Sud Sudan al fine di far saltare il referendum per l’autodeterminazione. Referendum che peraltro non è gradito negli ambienti dell’Ua che temono costituisca un precedente contro il dogma africano sull’intangibilità delle frontiere. Viene spontaneo chiedersi, ma la comunità internazionale è ancora disposta a stare alla finestra a guardare?

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