Lo ammetto, comincio a non starci più dietro. L’onda della social innovation mi ha sommerso. Solo oggi: il lancio di ideaTRE60 un social media per innovatori sociali sostenuto da fondazione Accenture e un pezzo del Guardian pannocchiato da pratichesociali che annuncia per il prossimo 8 marzo un open book sul tema (ma nel sito della fondazione che lo ha promosso non c’ho trovato nulla). Nei due eventi si ritrovano i codici linguistico culturali che fondano l’innovazione sociale e che denotano il classico approccio da business school (tanto per confermare da dove viene il tutto). Dunque molta aneddotica, come dicono quelli del Guardian, tenuta insieme da concetti “catch-all”: cambiamento, innovazione, sostenibilità, ecc. E per quest’ultimo aspetto è sufficiente sorbirsi i 60 secondi del video, bruttino, di presentazione del social media nostrano. Ma non basta. Ci vedrei bene un pò di costruttivismo organizzativo e di governance: multi-stakeholdership, progettualità di territorio e mettiamoci pure il brivido del contracting-out pubblico. Ne guadagnerebbe in consistenza il movimento della social innovation, davvero leggerino da questo punto di vista, e ne guadagnerebbe anche l’impresa sociale old style che a forza di cesellare il modello si è fatta venire i calli alle mani. Facciamo incontrare questi mondi. In sottofondo la canzone preferita del nuovo presidente di Federsolidarità, ma nella versione dei RATM che pompa di più.
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