Giuliano Amato si assume la responsabilità di dare in un’inusuale spiegazione pubblica delle decisioni appena adottate, lasciano trasparire il disagio e per certi versi persino la sofferenza nascosti dietro alcuni «no». Ad esempio sul «fine vita», su cui Amato denuncia l’uso improprio delle parole: «L’hanno dipinto come un un referendum sull'etanasia mentre era sull’omicidio del consenziente, e formulato in modo da estendersi a situazioni del tutto diverse da quelle per cui pensiamo possa applicarsi l’eutanasia. Un risultato costituzionalmente inammissibil
Vale la pena ricordare che nel 2019 la Corte ritenne parzialmente incostituzionale l’articolo 580 del Codice penale nella misura in cui non contempla quattro circostanze in cui l’aiuto al suicidio andrebbe depenalizzato: la persona è affetta da patologie irreversibili, prova sofferenza intollerabile, è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ed è capace di prendere decisioni libere e consapevoli. La Corte, cioè, non reputava incostituzionale il reato di aiuto al suicidio in generale, giudicava incostituzionale la punizione dell’aiuto in presenza nei casi citati.
Ma il quesito dei radicali non ha chiesto l’abrogazione dell’articolo 580 del Codice penale sull’aiuto al suicidio, bensì l’abrogazione dell’articolo 579 sull’omicidio del consenziente, depenalizzandolo se non per le tre circostanze che la legge già adesso considera omicidio "tout court" anche in presenza di un consenso: l’uccisione di un minore, di una persona inferma di mente, di una persona cui il consenso a essere uccisa è stato estorto con violenza o inganno.
Il problema della nuova sentenza pare stare tutto qui. Mentre la sentenza della Corte Costituzionale chiede al legislatore di intervenire con puntualità sul 580 e su una parziale depenalizzazione dell’aiuto al suicidio, il quesito referendario depenalizza, diciamolo pure liberalizza l’omicidio del consenziente, salvo le tre circostanze citate.
Ha proseguito il presidente Giuliano Amato nella sua Conferenza stampa: «Allo stesso modo di quello riguardante la legalizzazione della cannabis che — secondo un corretto utilizzo delle parole — avrebbe dovuto chiamarsi “legalizzazione della coltivazione delle sostanze stupefacenti”. Perché per come era scritta, la proposta da sottoporre ai cittadini, la vittoria dei «sì» avrebbe esteso la legalizzazione anche a eroina e cocaina, con conseguente violazioni di obblighi internazionali e andando oltre l’obiettivo sottinteso al referendum».
Secondo il presidente della Corte «il quesito referendario non era sulla cannabis ma sulle droghe pesanti, insistendo sui quei commi dell’articolo 73 del testo unico degli stupefacenti che non contenevano la cannabis, ma facevano riferimento a sostanze che includono papavero e coca, da qui la violazione di obblighi internazionali»
Ora, al di là delle retoriche politiche e degli ideologismi che vivono di automatismi e mai di un pensiero critico, dovrebbe essere ben chiaro a tutti (tranne che a Cappato) la differenza tra “aiuto al suicidio” e “omicidio del consenziente” e la differenza tra cannabis e papavero!
Insomma, non ci sono più i radicali di una volta.
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