Oggi ho una sgradevole sensazione di déjà vu: è venerdì e si cominciano a smantellare le redazioni improvvisate, gli studi in esterna, si abbassa il tono, si torna a casa. Il giornalismo italiano non è nuovo a queste silenziosamente concordate fra giornali, radio e tv. I buoni argomenti non mancano, ovviamente: dopo due settimane è giusto tornare a occuparsi dei tanti problemi degli italiani non terremotati, e poi c’è l’effetto saturazione, la “gente” è stanca di macerie, di tende, di recriminazioni, di conteggio delle scosse di assestamento. Ha bisogno di una tregua, di un lento ritorno alla normalità.
Giusto, peccato che lì in Abruzzo comincia ora il momento più difficile, quello dell’incertezza, della mancanza di novità, dell’impossibilità di tornare a casa, della precarietà del futuro. E adesso, da giornalisti veri, di argomenti da affrontare e da raccontare ce ne sarebbero tantissimi. Le storie dei volontari che non fanno notizia, che restano sul campo, che si avvicendano. La rete orizzontale della solidarietà, fatta di mille rivoli carsici, di piccoli interventi mirati, come il trovare alloggi accessibili per disabili, mettendo a disposizione le proprie case. Il mondo dei giovani universitari che vorrebbero mettere a frutto le loro competenze per ridare vita alla città che vive, o viveva, della loro presenza. La realtà dei tanti piccoli paesi dell’Abruzzo che non sono stati distrutti come Onna, ma che hanno comunque subito il terremoto senza forse ricevere gli aiuti necessari, anche solo psicologici. Le inchieste della magistratura, da seguire da vicino, perché ogni giorno emergono dettagli importanti soprattutto per capire come non si dovrà lavorare in futuro.
L’elenco potrebbe continuare, e invece ho visto troppa attenzione alla politica, ai personaggi, alle dichiarazioni, al “teatrino” che era inevitabile, ma forse andava trattato con maggiore sobrietà. E’ incredibile come ormai nel nostro mestiere sia la politica a dettare l’agenda, i titoli, gli argomenti, anche quando mancano notizie certe, ma vi sono soltanto annunci, più o meno confusi.
E’ importante non chiudere il taccuino proprio adesso. Non basta tornare un mese dopo, come reduci da un campo di battaglia. Non è necessario avere ogni giorno ore di trasmissione televisiva o pagine su pagine. E’ fondamentale però una presenza viva, critica, consapevole, curiosa, insomma, professionale.
Cari colleghi, non chiudete il taccuino.
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