Welfare

Non chiedo la luna, né la libertà, solo un po’ di luce

Chiedo qualcosa che ci riaccenda il cervello

di Ornella Favero

Fare la coda per ricevere la ?terapia?, cioè gli psicofarmaci che in carcere non scarseggiano mai, mettersi a guardare la televisione per non pensare, stare in branda a fumare senza la forza di alzarsi: questa è spesso la vita negli ospedali psichiatrici giudiziari, come ce la descrive la testimonianza di un internato su Spiragli, il giornale dell?Opg di Montelupo Fiorentino. Una vita spesso inutile e assurda, dove si è «indotti alla depressione per poi venire curati con gli antidepressivi». Ma è la vita anche in tante carceri normali, quelle dove non c?è niente da fare, dove per attirare l?attenzione la gente si taglia, dove si vive sempre più spesso senza speranza.
Ornella Favero (ornif@iol.it)

La mente, per stare bene, ha bisogno di spazi, di verde, di attività motoria e riabilitativa, di comunicazione e di comprensione. Tutto ciò è presente solo in minima parte nell?ospedale psichiatrico dove mi trovo obbligatoriamente internato. Dimenticavo! Tale ospedale è giudiziario in quanto i malati mentali presenti all?interno delle mura mediche sono giustamente ritenuti pericolosi per aver commesso reati gravi. Sì; con obiettività dico che è giusto tenerci reclusi in ospedale. Quello che non ritengo giusto sono le condizioni di vita e quindi la modalità terapeutica che ci viene imposta. Viviamo in spazi ristrettissimi, privi d?igiene, privi di verde, con l?ozio e la pigrizia che la fanno da padrone. Quello che maggiormente ho riscontrato in questi tre anni d?internamento, è la poca voglia di reagire. Perciò, mangiare, dormire e fumare diventano l?essenza della vita.
Sono le otto del mattino: TERAPIAAAA!!!, grida un infermiere. Così comincia la nostra giornata. Prima i lavoranti, poi gli altri si avvicinano lentamente all?infermeria, con la mano tremolante, aspergendo sul pavimento l?acqua contenuta nel bicchiere. Poi, chi non lavora va di nuovo a letto, a bruciare le lenzuola con la sigaretta che lo accompagna nell?intorpidimento mentale. Cosa ci vorrebbe invece? Una sveglia musicale con l?infermiere o l?operatore di turno che ci invitano a svegliarci, a prendere la terapia, a rifare i letti, a ripulire la cella e a invogliarci alle attività terapeutiche. Ecco quello che ci vorrebbe!
Ma torniamo alla realtà: «Aria, chi vuole andare all?aria?», ci viene suggerito da un agente. Ma la maggior parte rimane a letto perché l?aria che gli viene offerta in realtà è un gas soffocante fatto di cemento, sbarre e mura altissime, dove la sola consolazione è di poter vedere un cielo ampio e non a quadretti. Dopo aver camminato ripetutamente da un muro all?altro, rimbalzando come una palla in un campo da tennis, si ritorna in cella e si va a mangiare il mediocre vitto che ci viene offerto. Siamo privi di stimoli, con il nervosismo che giorno dopo giorno aumenta; indotti alla depressione per poi venire curati con gli antidepressivi; con un?unica nostra compagna: la tv che incessantemente ci offre programmi rincoglionenti come Il grande fratello. Non chiedo la Luna, non chiedo elemosina, non chiedo libertà, solo qualcosa che ci riaccenda il cervello.

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