Nell’arco di quindici anni i nostri territori sono stati capillarmente occupati dall’azzardo generando non pochi problemi per le amministrazioni comunali che si sono ritrovate a gestire gli “effetti collaterali” di questo fenomeno.
Il loro potere decisionale è stato deliberatamente escluso da tutto ciò che riguardava la gestione, l’offerta e la promozione di questo nuovo ‘business’. Chi vive i territori e cerca di occuparsi dei bisogni delle persone è stanca e non accetta più tutto questo e si ribella dignitosamente.
A tutto questo dobbiamo aggiungere anche quel che è in continua espansione anche in rete, un azzardo che aggredisce attraverso spazi creati ad hoc anche nei social network, un azzardo proposto come gioco, intrattenimento, passatempo, svago… Non sottovalutiamo la potenza del linguaggio!
Uno studio pubblicato in questi giorni sul Journal of Consumer Research denuncia l’utilizzo del termine ‘gioco’ che influisce positivamente sui processi decisionali dell’individuo, rendendo più appetibile questa realtà perché associata al divertimento e al piacere. In questo modo anche l’azzardo diventa accettabile e accettato dalla comunità e dai consumatori.
Tutto ciò che sta avvenendo non possiamo assolutamente chiamarlo gioco ma neanche gioco d’azzardo, perché è quanto di più lontano esista dal concetto di GIOCO.
Oggi ho incontrato una ragazza che mi ha raccontato della morte di suo padre suicida a causa delle slot, della sua forte sofferenza nel non aver avuto il coraggio di fare qualcosa…
Ho sentito Tommaso, con i suoi 14 anni, raccontarmi delle difficoltà economiche e della fatica di frequentare la scuola perché il papà sperpera tutto con l’azzardo e non ha i soldi per i mezzi pubblici.
Mi ha rattristato il cuore il messaggio di un bambino di 11 anni che ha scoperto che la mamma lascerà papà perché nella famiglia si è rotto il rapporto a causa dell’azzardo.
E come non pensare alla sofferenza di Giuseppe che a 75 anni si ritrova in miseria economica, perché la moglie gli ha venduto tutti i ricordi al compro oro sotto casa.
Il panettiere fatica a vendere il pane perché le persone preferiscono azzardare, così come diversi esercizi commerciali faticano a tenere aperte il loro negozio perché nessuno acquista.
E ancora ci ostiniamo a volerlo chiamare GIOCO?!
Ancora vogliamo dar retta all’industria dell’azzardo che si giustifica dicendo che è giusto permettere alla gente di giocare?
L’azzardo sta minando la cultura delle famiglie e delle relazioni, sta distruggendo un’economia che ci permette di vivere a discapito di una diseconomia che devastando locali e spazi aggregativi.
Mi spaventa l’indifferenza di molti e soprattutto la mancanza di vera e giusta attenzione. In questi anni tutto è stato permesso a discapito del benessere delle persone.
L’azzardo non è un gioco! Ebbene si è altro!
@simonefeder
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