Dopo settimane di discussione sul caso “Mission”, il programma televisivo lanciato dalla Rai insieme all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e Intersos, i tre promotori di questo programma intervengono con un comunicato stampa spiegando che “hanno seguito con molta attenzione il dibattito sviluppatosi sui media relativo al programma e ritengono importante fare alcune precisazioni in merito alla trasmissione e alle sue finalità”.
Sintetizzando, le precisazioni sono le seguenti: non si tratta di un reality, ma di un progetto di “social TV” in cui i protagonisti non saranno remunerati, ma solo rimborsati (a questo punto sarebbe corretto sapere quanto); i VIPs affiancheranno gli operatori umanitari di UNHCR e INTERSOS nel loro lavoro quotidiano di protezione e assistenza ai rifugiati; il grande pubblico vedrà la realtà come essa è, senza finzioni sceniche; la Rai e le organizzazioni si impegnano a tutelare chi non ha vuole essere ripreso dalle telecamere o chi rischierebbe qualcosa dall’essere sbattuto in prima serata.
Secondo i tre soggetti promotori “Mission rappresenta un’importante novità che non solo darà voce a chi ha deciso di raccontare la propria storia, ma anche la possibilità a molte persone di ascoltare e di sapere, contribuendo a ridurre la marginalità mediatica dell’umanitario”.
Quindi il programma si farà e le nostre critiche sono sicuramente servite, stando almeno a quanto si legge, a far riporre attenzione su come verrà costruito questo esempio di “social TV”. Sul “cast” resta ancora avvolto il mistero e ci auguriamo, anche in questo caso, che le critiche e l’attenzione rivolte siano servite a incentivare la partecipazione di VIPs motivati e sensibili “alla causa”.
Tutto a posto quindi? No. Il servizio pubblico ha in mano un’occasione importante per dimostrare di essere tale e per non scivolare nei pericoli dai quali molti protagonisti del mondo della cooperazione internazionale l’hanno messo in guardia. E dimostrare che l’attenzione a certe situazioni, che siano fuori o dentro dai nostri confini, non è finzione. Mission è un modo per vedere se la televisione vuole cambiare qualcosa. Staremo a guardare e a commentare, senza come sempre prenderci troppo sul serio.
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