Volontariato

Non chiamateli ragassi

di Giulio Sensi

La vita è piena di sorprese: che Beppe Grillo, alle prese con un governo della Nazione, rubasse la scena a Benedetto XVI, dimissionario nell’ultimo giorno di papato, vi sarebbe sembrata una barzelletta fino a pochi anni fa. Ma così è e, se vi pare, può essere un motivo in più per abbandonare gli schemi e gettarsi in mare. Folli voli ci aspettano, in senso dantesco. E aspettano anche quei “ragazzi” del Movimento Cinque Stelle che sono entrati in Parlamento e che, magari, non sanno nemmeno il numero di senatori o deputati. Vi assicuro che per una domanda molto, molto, molto più complicata rifiutai il primo 18 all’esame di Diritto Pubblico, sudandomi un 30 (generoso) due mesi dopo.

E mentre lo dico ricontrollo il libretto, non vorrei che fra qualche anno, quando mi butterò pure io in politica perchè disoccupato, qualcuno riprenda questo post e mi accusi di aver millantato un 30. Mi ci giocherei la carriera.

I “ragazzi” a 5 Stelle si muovono impacciatamente: stretti fra l’ombra ingombrate del profilo twitter del Capo e la paura di dire baggianate. Hanno ancora un profilo basso.

E nemmeno Viola, la ragazza che ha lanciato con capacità e geniale semplicità il suo appello a Grillo per sostenere il governo Bersani è riuscita a farli venire fuori.

Ci sono riusciti alcuni giornalisti, come gli infaticabili colleghi di Redattore Sociale. I quali hanno chiesto ad Alfonso Bonafede, capolista alla Camera in Toscana e neodeputato, quali fossero le priorità per il welfare del Movimento in Parlamento.

La risposta di Alfonso ci ha fatto per un attimo, non preoccupatevi, è stata solo la debolezza di un attimo poi passata, rimpiangere gli ex ministri Maurizio Sacconi ed Elsa Fornero (almeno lì avevamo davanti qualcuno da poter torturare. Giornalisticamente, si intende).

Bonafede ha risposto: “noi siamo per investire sul welfare e per aiutare le persone in difficoltà”. Bene, era meglio se rispondeva, come l’ormai obsoleto Cetto Laqualunque, che “se negli ospedali ci sono i topi, allora porteremo i gatti“.

Ma tant’è.

Alla domanda su cosa ne pensasse del Fondo per la non autosufficienza, ha risposto candidamente: “ma che cos’è?”. Nessuna paura, solo un suggerimento ai “ragazzi”: in giro ci sono diverse persone, anche non giornalisti -d’altronde si sa, di loro non c’è da fidarsi- che ne sanno a pacchi di welfare e che potrebbero chiarirvi molto le idee. Se magari sui territori vi fate vedere e invitate qualcuno più informato di voi a discutere, la prossima volta prendete anche il 70% dei voti. Se volete ve li segnalo, conosco molti di esperti di welfare.

Intanto vi saluto, consapevole che è meglio comunque chi non sa, per ora, cos’è il fondo per la non autosufficienza piuttosto di chi ha saputo, molto bene, relegare la non autosufficienza in fondo alle priorità.

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