Cultura

Non chiamateci eroi

È il più famoso missionario italiano, ma anche un reporter capace di denunciare le ingiustizie ad ogni latitudine. Ecco il suo ritratto dei missionari del Duemila: «Lo scopo è sempre lo stesso, ma l

di Roberto Copello

Libri, apparizioni tv, rubriche radiofoniche: Piero Gheddo è certamente il più famoso missionario italiano. Un prete, certo, ma anche un grande reporter: il primo a denunciare negli anni ?70 quel che davvero stava accadendo nel Vietnam ?liberato? e in Cambogia. Una popolarità, quella del missionario del Pime, derivata anche da un celebre appello di Montanelli. Nel pieno dello scandalo delle tangenti per la cooperazione in Etiopia, il vecchio Indro invitò infatti gli italiani a inviare le loro offerte a padre Gheddo. «Con lui almeno sarete certi che i vostri soldi saranno bene utilizzati». Con la sua lunga esperienza, Gheddo è dunque il più indicato a spiegare chi è il missionario oggi. Gheddo, come è cambiata la missione? È sempre la stessa: annunziare Gesù Cristo. Semmai sono le forme che cambiano. Magari oggi il missionario dà un?altra immagine di sé. Ma comunque parte e va sempre secondo il suo carisma. Certo, è cambiata la preparazione. Quando a 16 anni sono entrato in seminario, si dava grande importanza alle ?virtù attive?: coraggio, capacità di leadership, disponibilità al martirio, al rischio, a vivere isolati. I missionari erano dei protagonisti… Quasi degli eroi, insomma. E adesso ? Ora prevalgono le virtù ?passive?: pazienza, umiltà, costanza, imparare le lingue. Protagonista non è più il missionario ma la Chiesa locale. Dove arriva, il missionario trova sempre una diocesi e dei preti locali, sia pur in ambienti non cristiani. Prendiamo uno dei Paesi più poveri dell?Africa, la Guinea Bissau: 50 anni fa il missionario vi parlava il portoghese e basta; ora deve imparare le lingue indigene. Ma cosa spinge oggi un giovane a scegliere la missione? Alla base c?è sempre una motivazione reale. Se vuoi partire missionario per voglia di avventura o perché hai dei problemi tuoi cui sfuggire, è meglio che non ci provi nemmeno. Se vai è perché hai già cominciato a sperimentare nella tua vita la bellezza della fede. E non c?è il rischio di sbagliare nell?interpretare la bontà di una vocazione? Il candidato viene sempre messo in condizione di esprimersi prima di partire. Purtroppo, soprattutto tra i volontari laici, negli ultimi tempi è stata troppo trascurata la motivazione religiosa. Bisogna invece guardare a laici tipo Marcello Candia, che con la fede superavano incomprensioni, malattie, scoraggiamenti. Se vai per spirito d?altruismo o puro umanitarismo ma non hai una base religiosa, fallisci. Oppure finisci con l?imbracciare il mitra. È vero che gli ordini missionari italiani accolgono sempre più stranieri nelle loro file? Noi del Pime dal 1989 abbiamo iniziato a prendere gli stranieri, soprattutto da India, Brasile e Filippine, dopo che i vescovi stessi avevano chiesto di formare missionari locali. L?obiettivo è la missione universale. Così ora un indiano va in Africa, un filippino in Amazzonia. Tutto ciò è bello, mostra che ogni Chiesa deve diventare missionaria. E a lei come è nata la vocazione? A otto anni già sognavo leggendo le riviste missionarie. Al mio paese, Tronzano, vicino a Vercelli, i missionari passavano una volta all?anno, ma bastava ad affascinarmi. Oggi il fascino c?è ancora, ma non ci sono più le famiglie che coltivano queste vocazioni. In una società di figli unici le si scoraggia. E poi i ragazzi fanno mille esperienze una dietro l?altra, senza decidersi mai. Una volta ti capitavano due cose e ne sceglievi una. Ciò vale anche per il matrimonio: ora ci si trascina fino a 35 anni senza decidersi… E quali difficoltà si incontrano sul campo? I pericoli maggiori sono in campo teologico. In molti Paesi masse di battezzati si lasciano attrarre da riti facili, quasi magici. Oppure dalle sette, in forte espansione. Padre Gheddo, lei è ottimista sul futuro? Sì, se guardo alla Chiesa universale, e non limito lo sguardo all?orticello italiano o francese. Lo Spirito Santo lavora, eccome. Basti vedere a quel che, in silenzio, sta accadendo in Cina. La Storia è un mistero. Eppure i missionari continuano a versare il loro sangue: vedi il francescano croato ucciso in Ruanda… Sì, ne muoiono 30 o 40 all?anno. Ma non c?è una zona più pericolosa di un?altra. Dappertutto ci sono guerriglia, instabilità, sicurezza, non solo nei Paesi in guerra. A noi del Pime sono morti due missionari in dieci anni nelle Filippine: erano morti imprevedibili. In Messico, presso Acapulco, ci sono rischi altissimi, ogni volta che esci devi raccomandarti al tuo angelo custode. Padre Gheddo, cosa direbbe a un giovane che le dicesse che vuole fare il missionario? Gli direi: prega per capire se questa è la volontà di Dio. E se Lui ti chiama davvero, buttati, perché questa è la vita più bella.


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