Salute

Non c’è salute, senza salute mentale

#restareacasa con un disagio psichico. Come sta rispondendo la sanità pubblica nella gestione dei servizi di salute mentale durante l'emergenza virus? Quali le preoccupazioni delle famiglie? E, nelle difficoltà di questa vita da reclusi in casa, quali le “possibili vie di fuga” per queste persone più fragili? Un nuovo bisogno, alcune domande e alcune risposte

di Sanzia Milesi

«Per me è una guerra, chimica o batteriologica. Per me è come in guerra. È uguale. Rinchiusi in casa. Questa è una guerra!». Questo è il messaggio di F. in chat agli amici: lui ha una trentina d'anni e aveva da poco trovato lavoro in una cooperativa sociale che gestisce un ristorante. Ora, è chiuso in casa, come tutti, dall'emergenza sanitaria Covid19 e la sua serenità, come quella di tutti, è messa a dura prova. Perché la salute, e quella mentale non fa eccezione, riguarda proprio tutti.

“Non c'è salute, senza salute mentale”, ha affermato l'Organizzazione Mondiale della Sanità in quella che è ormai nota come la Dichiarazione di Helsinki. In Italia, secondo i dati rilevati dal Sistema Informativo Salute Mentale del Ministero, purtroppo aggiornati al 2017, sono oltre 850mila le “persone con patologie psichiatriche” assistite dai servizi specialistici (immaginate quante altre, fuori dal novero?). Tra le diagnosi più frequenti: depressione, schizofrenia, sindromi nevrotiche e somatoformi. Quasi 336mila sono stati coloro entrati in contatto per la prima volta con i Dipartimenti di Salute Mentale, per un 67,6% dei casi, persone con più di 45 anni d'età. Per il 53,5% sono donne. Oltre 170mila alunni in Italia, nell’anno scolastico 2016/2017, hanno presentato una disabilità di tipo intellettivo.

Quasi 11,5 milioni sono state le prestazioni erogate, sempre nel 2017, dai servizi territoriali (una media di circa 15 prestazioni ad utente). Il 78,1% degli interventi è avvenuto in struttura, il 7,9% degli interventi sono stati svolti a domicilio. Tra le attività, quella psicologica psicoterapica è il 6% del totale; 16,60% l'attività rivolta alla famiglia (o altro supporto). Nel 2017, erano attivi 1.481 servizi territoriali, 2.346 strutture residenziali e 908 strutture semiresidenziali, 318 Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura (con quasi 4mila posti letto per ricoveri ordinari e 338 in day hospital), oltre a 22 strutture ospedaliere in convenzione. In totale, parliamo di una media di 10 posti letto ogni 100mila abitanti (maggiorenni).

Ma oggi che la sanità pubblica è stremata dall'urgenza del virus, continua ad esser attiva ed efficiente, come nella “normalità”, la rete dei servizi sanitari di salute mentale, che tanto deve a Franco Basaglia e alla sua Legge 180 del 1978 (ma che tanto ancora, da allora dovrebbe attuare, inclusa l'effettiva chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari)? E come possono far fronte i malati e le loro famiglie alla “straordinarietà” della vita da reclusi in casa, senza più amici e lavoro ad esempio?

La risposta del Servizio Sanitario Nazionale…
Gli allarmi di criticità nel settore sono stati lanciati da più parti. Ma dati unitari ed univoci su cosa sia a disposizione e cosa no, in termini di strutture e servizi, non è davvero facile trovarne. In febbraio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato la “Guida operativa per il mantenimento dei servizi essenziali durante l’epidemia Covid-19” e qui, tra le categorie ad alta priorità, verso cui si chiede ai Paesi una continuità nell’erogazione dei servizi, sono inclusi coloro che soffrono di disagio mentale.

“Mi sento di dire, citando Tiresia nell’Edipo Re, che camminiamo sull’orlo della sorte” afferma lo psichiatra Roberto Lezzi, primario del Centro di Salute Mentale di Pordenone in Friuli Venezia Giulia, nella testimonianza riportata online sul sito psychiatryonline.it da Gerardo Favaretto, che meritoriamente sta raccogliendo le testimonianze dei suoi colleghi “viva voce” (via mail).

“Abbiamo avuto indicazione di sospendere le attività non essenziali e di conseguenza abbiamo sospeso le visite di controllo, sostituendole con telefonate (spesso in videoconferenza tramite zoom o skype). Tuttavia, e questo vale per tutti i servizi sanitari, limitarsi alle urgenze vuol dire creare urgenze. – spiega Lezzi, non dimenticando anche l'annoso tema della messa in sicurezza degli operatori – Abbiamo dovuto sospendere i tirocini lavorativi, le attività di socializzazione e riabilitative, gli interventi educativi domiciliari estremamente capillari (effettuati da personale delle cooperative). Il sistema per il momento tiene (…). Tuttavia credo sia ragionevole pensare che il mese di aprile sarà foriero di ben altro andamento primaverile estivo. (…) E dobbiamo avere in mente diverse linee di condotta, da più prospettive. Diversi piani d'azione, così da non trovarci impreparati”.

Abbiamo avuto indicazione di sospendere le attività non essenziali e di conseguenza abbiamo sospeso le visite di controllo, sostituendole con telefonate

Roberto Lezzi, primario del Centro di Salute Mentale di Pordenone

In prospettiva si parla di “utenti confinati a domicilio e che hanno visto interrompersi i percorsi abilitativi che vivranno in modo sempre più pesante questa condizione”; nuovi casi di “disturbi d’ansia, fobici, attacchi di panico, post-traumatici”; oltre ad un settore (non necessariamente di interesse psicopatologico) di persone con “comportamenti disadattivi o antisociali, o comunque legati alle conflittualità relazionali nei vari contesti”. In casa, con una convivenza, in famiglie già conflittuali, di certo particolarmente gravosa. In struttura, riorganizzando team e funzioni per gestire i ricoveri di pazienti positivi al Covid-19 in SPDC, così come la loro fruizione delle comunità o delle residenze protette.

Ancora grazie al sito di Gerardo Favaretto, questa volta dal Molise, è l'intervento del direttore del Centro di Salute Mentale di Campobasso, Franco Veltro, che riferisce di un DSM regionale con 3 Centri di Salute Mentale, 3 Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura, 3 Centri Diurni e 13 Strutture Residenziali. Il medico parla di servizi aperti per le emergenze/urgenze, terapie a lunga azione, colloqui psichiatrici e psicologici, interventi infermieristici indifferibili (a distanza di due metri nelle stanze colloqui, un metro e mezzo all’accettazione con uso di mascherine). Inoltre, nastri adesivi di diverso colore per percorsi differenziati, zone interdette, e distanziatori. Squadre di lavoro medici-infermieri a turnazione lunga 12 ore (con 2 psichiatri di giorno in reparto e in notturna le reperibilità dei medici territoriali). Aumentate le ore di specialistica ambulatoriale e quelle alla Casa Circondariale di Campobasso.

Infine, conclude Veltro: “Come in tutta Italia è stato interrotto il turnover presso le Strutture Residenziali e interdetto l’accesso al CSM, così come ogni forma riabilitativa esterna. I Centri Diurni non sono stati chiusi ma 'alleggeriti' con la presenza degli utenti più bisognosi in modo da garantire il distanziamento, con programmi domiciliari e telefonici. (…) Ai professionisti è stata chiesta una lista di pazienti ad 'alto rischio' per ricadute, per scarsa aderenza ai programmi terapeutici e per 'comportamenti a rischio infezione Covid-19' così da programmare interventi intensivi.

Un racconto dai “caregiver”: l'Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici
“Come si vive in casa con l’autismo in questo momento? Si vive con più ansia, più stress, che già era sempre alto! Mi raccontano tante famiglie di giornate da incubo, di notti insonni per figli scombussolati dal cambio di routine, di autolesionismo e di aggressioni agli altri fratelli o ai genitori. Ne sento di tutti i tipi. Come anche sento di ragazzi che, inspiegabilmente invece, sono più calmi del solito, o che si sono adattati velocemente alla novità, e che sono contenti di vedere tutta la famiglia insieme e si sentono più coccolati di prima. Per le nostre famiglie sempre in trincea, l’emergenza è la normalità. Facciamo fatica a capire chi in casa si annoia o non ha voglia di leggere o guardare l’ennesimo film! Che invidia ci fanno queste persone!! E ci domandiamo: capiranno ora un poco di più le famiglie 'normali' cosa vuol dire vivere l’autismo, vivere l’isolamento sociale?”

A parlare è Benedetta Demartis, una “caregiver familiare”, nell'anglicizzazione di coloro che sempre e gratuitamente, si prendono cura di un proprio congiunto che ne ha bisogno. Lei è la presidente di ANGSA, Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, un'associazione nazionale con 46 sezioni sparse in ogni regione, che “vuole dare voce a quelle persone che hanno un autismo che non gli permette di autorappresentarsi”. Una realtà da cui nata la spinta a linee guide nazionali e regionali per il settore, nonché ad una disciplina specifica per l’autismo, la Legge 134 del 2015.

Per alleviare gli effetti negativi sulle famiglie con figli autistici si cerca di proporre attività a loro gradite, si chiede il loro coinvolgimento, dov'è possibile, nelle attività domestiche

Benedetta Demartis, presidente di ANGSA


“Ma la sfida più grande, ancora non vinta: è l’accettazione e il rispetto di persone che vivono con una condizione cosi difficile” prosegue Benedetta Demartis, raccontando la specificità del periodo, ma anche il fatto che i ragazzi sono, da sempre, abituati ai prelievi del sangue per esempio, questo tramite una formazione di esperienza simulata, appositamente mirata a tranquillizzarli e far loro prender confidenza con certe situazioni altrimenti per loro allarmanti e ingestibili.

“Questa particolare situazione di reclusione forzata, la stiamo vivendo con angoscia, se ci immaginiamo che a essere contagiato sia nostro figlio/a, soprattutto se ha complicanze (e spesso ne hanno) come l’epilessia. O semplicemente, perché intubare un autistico che non capisce cosa succede, è davvero una tragedia. Ti può mettere a soqquadro il pronto soccorso gridando o ribellandosi. L’altra tragedia sarebbe se il contagio lo prendesse un familiare e nostro figlio venisse allontanato da casa. Dove finirà? In quale struttura verrà portato? Lo sederanno per non disturbare tutti gli altri utenti? È uno scenario che fa stare male, e fa tornare inevitabilmente a galla il pensiero angosciante del 'dopo di noi'.”

“Per alleviare gli effetti negativi in questi bambini e adulti – continua la presidente ANGSA – si cerca di proporre attività a loro gradite, si chiede il loro coinvolgimento (dov'è possibile) nelle attività domestiche. Si stanno attivando trattamenti a distanza, tramite collegamenti video con gli operatori, educatori, insegnanti di sostegno. In molti casi questo funziona, ma non per tutti.

Altro sollievo è la possibilità di fare passeggiate in campagna o brevi giri in auto, anche se col rischio di essere fermati dalle forze dell’ordine, che spesso non capiscono la nostra difficoltà nella gestione quotidiana. Ci si munisce allora di autocertificazione, del documento di invalidità e possibilmente di una dichiarazione dello specialista che ha in carico nostro figlio. Di solito è sufficiente.

Un esempio positivo di “psicoservizio pubblico”
“Mi sono accorta che stando da sola, senza vedere nessuno, sto tornando indietro. Stanno tornando i brutti pensieri, i fantasmi del passato, corro il rischio di pensare e fare cose che speravo di avere superato.”

Questa ragazza soffre di disagio psichico. E in questi giorni di chiusura in casa, emotivamente difficili per tutti, c'è chi, come lei, vede ingigantirsi alcune ombre che si pensavano oramai alle spalle. Laddove, tutto sembra farsi nero, è necessario “uscire” dalla propria sofferenza incontrando l'altro. A renderlo possibile, con la sua redazione formata da cittadini seguiti dai Servizi di Salute Mentale di Bologna, è Psicoradio ed è qui che il disagio di questa donna ha trovato risposta. Una radio che, anche e soprattutto in questi giorni, vuol portare avanti con forza il proprio ruolo di “psicoservizio pubblico”.

“Stiamo producendo delle 'Psicopillole' – spiega la coordinatrice di redazione Cristina Lasagni – Sono programmi brevi, di circa cinque minuti, facili da inserire anche in palinsesti già formati, da proporre non solo alle radio che, come Radio Popolare Network, già ci mandano in onda in molte città, ma anche ad altre emittenti, blog e siti, proprio in un’ottica di 'psicoservizio pubblico'. Anche il Dipartimento di Salute Mentale di Bologna ci ha chiesto di collaborare ad una campagna di supporto psicologico che sta organizzando, che avrà dei numeri telefonici di ascolto dedicati.”

Ormai da più di 14 anni e 700 puntate, una testata radiofonica capace di dare voce ai temi della salute mentale (ma non solo), nata a Bologna nel marzo 2006, grazie all'impegno di Arte e Salute Onlus. Ogni trasmissione, poi diffusa su Radio Città del Capo e dal circuito di Radio Popolare, è creata da due redattori e due addetti alla regia. Utenti del Dipartimento di Salute Mentale cittadino, che solitamente decidono le scalette tematiche e utilizzano le apparecchiature tecniche nella sede ospitata nell'ex manicomio bolognese Roncati. Ma oggi…

Stiamo producendo delle “Psicopillole” programmi brevi, di circa cinque minuti, facili da inserire anche in palinsesti già formati, da proporre non solo alle radio ma anche ad altre emittenti, blog e siti

Cristina Lasagni, coordinatrice redazione Psicoradio

“Visto che ovviamente non è possibile frequentare la redazione – prosegue Cristina Lasagni – abbiamo creato una redazione virtuale e tre volte alla settimana ci incontriamo in videoriunione. Così riusciamo a organizzarci tra noi, 'stare insieme' e progettare i programmi, ricostruire un po’ di 'comunità' e anche parlare un po' tra noi di come affrontiamo queste giornate. Non è stato affatto semplice, anche solo perché non tutti i redattori erano già attrezzati con loro computer o cellulari, oppure perché non sapevano usare i programmi per connettersi. Ma anche, più semplicemente, perché qualche redattore era troppo scoraggiato, triste, impaurito per aver voglia di provare… Però ce l’abbiamo fatta! Ci sono già state diverse riunioni, abbiamo iniziato a lavorare a distanza, registrando ciascuno un pezzo di programma con il proprio cellulare, poi scambiandoci i video e montandoli sui programmi che avevamo scaricato. E in più così ai redattori rimane la possibilità tecnica di incontrarsi quando vogliono con le chat o con i programmi di videoconferenza che abbiamo allestito”.

Ecco così che, tra centro e periferia, si scopre cosa vedono i redattori di Psicoradio dalle proprie finestre: “una versione inedita di strade e giardini, vuoti ma vivi”. E poi c'è la poesia terapeutica, “perché non ci interessa una vita indolore”. Si discute di disturbi alimentari e si invita a coltivare l'empatia nel giardino della proprie emozioni, suggerendo anche, attraverso un piccolo vademecum dell'OMS (“Stigma sociale associato a COVID-19”), per esprimersi correttamente senza colpevolizzare o terrorizzare nessuno, perché “le parole sono importanti, come quelle che scegliamo possono creare nemici o costruire ponti”.

“Ciò che abbiamo notato – conclude la responsabile di redazione – è che si parla spesso delle conseguenze economiche del Coronavirus, molto meno (quasi mai!) di quelle psicologiche. Che invece sono importanti, non solo per chi già conviveva con una sofferenza psichica, ma per tutta una popolazione che deve oggi fare i conti con una limitazione delle libertà, la perdita di persone care, lo stravolgimento delle proprie abitudini e con la paura. E, ad esempio, proprio alla paura abbiamo dedicato una delle ultima puntate lunghe, di una trentina di minuti, andata in onda su Popolare qualche settimana fa. Ecco, questa è la situazione che stiamo vivendo, faticosa ma almeno viva. E ci stiamo rendendo conto di quanto sia davvero importante avere qualcosa da pensare e fare, sentirsi utili, e anche avere strumenti per incontrarsi almeno virtualmente. Perché, per chi sta lottando contro una sofferenza psichica, la vita oggi è molto dura”.

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