Mondo
Non c’è pace senza disarmo, cominciamo a pensarlo oggi
Michel Foucault, capovolgendo il brocardo di Clausevitz (la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi) ebbe a dire che “la politica è la guerra continuata con altri mezzi”. È proprio per questo che oggi in Ucraina ciò che più manca è una prospettiva politica. Capace anche di pensare al disarmo necessario domani
Il teologo Sergio Tanzarella ama spesso ripetere che la più grande menzogna della guerra è illudere i popoli che le combattono, così come quelli che le osservano, “che le guerre finiscano”. Le guerre invece non finiscono mai: gli effetti devastanti che la follia omicida ha sulle famiglie colpite può avere ripercussioni infinite nel tempo, orfani che covano rancori atavici, vedove che hanno dovuto far fronte a figli difficili, imprese che non si riprendono e disoccupati che fuggono, sconfitti sul campo che puntano a riconquistare per i decenni successivi le terre perdute, vendette striscianti che attendono nuove debolezze dell’antico avversario per provare ad aggredire di nuovo, in memoria di ciò che anche secoli fa accadde.
La guerra ha una forza quantica nel tempo, come un effetto butterfly che non sconvolge spazi diversi e distanti, ma si espande e si riporta nelle generazioni successive. L’idea che la guerra all’Ucraina possa dunque terminare è quanto mai utopistica, forse anche più della pace. Michel Foucault, capovolgendo il brocardo di Clausevitz (la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi) ebbe a dire che “la politica è la guerra continuata con altri mezzi – e non solo la politica ma anche la legge e l’ordine”. Cosa stiamo quindi guardando quando fissiamo il nostro sguardo “sul confine” (che è l’origine etimologica di U Kraj)? Stiamo attendendo che abbia inizio la politica, non perché la guerra cessi e l’ingiustizia resti, ma perché il conflitto continui in altre forme, in forme umane, che non siano i missili caduti dall’alto ed eccidi e stupri nella città, attendiamo la forma veemente di un assedio politico tra corpi diplomatici che si contendano a furor di legge e di negoziati i diritti sui pezzi di terra, sugli accordi commerciali, sugli sbocchi in mare, sugli apparati di potere che conseguiranno a questa ennesima guerra nel mondo.
Ma c’è un però, ed è su questo però che il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, tornando di nuovo a Kiev, ha inteso far avanzare il suo piccolo ma determinato dialogo di pacificazione. Quando tutto sarà finito che fine faranno tutte le armi che nel frattempo saranno arrivate su quelle terre? Davvero c’è ancora chi crede alla favola che le armi vendute e cedute a profusione per una causa, giusta o sbagliata che sia, tornino poi nel fodero quando si raggiunge un accordo? Sappiamo bene che le armi continuano “a vivere” anche quando la guerra cessa, che si spostano a mietere altri morti in altre direzioni, con nuovi scopi, che vengono prontamente intercettate dal mercato nero, gestito dalle mafie, e che diventano l’effetto collaterale più duraturo e incontrollabile. Come le armi arrivate all’Isis, alle tribù libiche, ai talebani, all’esercito di Saddam, ai battaglioni ceceni, ai Narcos…la storia recente pullula di esempi nefasti di armi che hanno infestato ed “animato” nuove crisi geopolitiche dopo averne chiuse malamente delle altre. Nella stessa Ucraina dell’est il mercato nero era già attivo dal 2017, tanto che in soli due giorni ad aprile di quell’anno, l’Interpol ha sequestrato ed identificato 320 armi da fuoco e 20 mila munizioni, più mitragliatrici, granate ed esplosivi e nel 2021 il mercato era diventato così fiorente in questa parte del mondo che, secondo l’UNICRI, l’istituto di ricerca delle Nazioni Unite, un Ak-47 ancora nuovo, arma molto apprezzata dai gruppi terroristici, che solitamente ha un valore di 1700,00 euro, veniva venduto per soli 265 dollari, a causa dell’eccessiva “offerta” del prodotto, mentre i fucili da cecchino si acquistano con soli tremila euro.
Ora che la guerra sembra vivere un impasse e che gli Ucraini hanno dimostrato al mondo intero la loro ferrea volontà di non sottomettersi all’aggressore, è già tempo di pensare come nel prossimo futuro si potrà e si dovrà “fermare la vita delle armi”, prima che queste si spostino per altre missioni folli o rendano instabile la sicurezza di tutto l’est. Pensare oggi ad una marcia nonviolenta da fare a Kiev per l’11 luglio, giorno di San Benedetto Patrono di Europa, mentre l’aggressione ancora continua e milioni di dollari in armi arrivano ogni giorno nel paese aggredito da parte di tutto l’occidente, non è affatto un gesto romantico o utopico, dovrebbe essere una necessità sentita da tutti gli europei, per la sicurezza di tutti. Il rischio che si corre è di un’Europa così cieca da armarsi fino ai denti e senza dotarsi di un corpo civile di pace competente, e, ancora peggio, senza una vera leadership nei negoziati.
Quelle armi non taceranno neanche con il migliore degli accordi, è oggi il tempo di progettarne la dismissione di domani, e non possono che farlo gli europei con gli ucraini, insieme, camminando fianco a fianco, progettando la pace non come la fine del conflitto, ma come l’inizio di un nuovo modo di gestirlo.
@Nella foto una statua di Dante a Kiev
*portavoce Progetto Mean
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