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Non autosufficienza, la sfida dell’innovazione

Una mattina all'Oic di Padova a parlare di come la tecnologia possa cambiare - e in parte sta cominciando a farlo - l'assistenza ai non autosufficienti. Dialogo, senza infingimenti, fra operatori di settore, ricerca economico-sanitaria e big della formazione. Ascolta l'episodio

di Giampaolo Cerri

Ottantenni che triplicheranno di qui al 2050, 60enni che raddoppieranno: per quanto si possa – lodevolmente – parlare di longevità, l’invecchiamento del Paese, secondo solo a quello del Giappone, interpella e interpellerà sempre più la politica e la società.

A guardare il dato dei quasi 4 milioni di non autosufficienti di oggi – un over 65 su quattro – di cui VITA vi dà spesso notizia, i cinque lustri di cui stiamo parlando aprono una prospettiva davvero impegnativa.

Per questo è positivo che player diversi – un’eccellenza della ricerca economica sanitaria, come Cergas Bocconi, una big delle risorse umane e del lavoro somministrato, come Umana, e due grandi realtà della gestione in Veneto, come Uneba e Uripa – abbiano promosso un seminario per interrogarsi sulla possibilità che questo quadro, piuttosto complicato, possa trovare nell’innovazione tecnologica alcune risposte.

È accaduto venerdì scorso, 28 marzo, alla Fondazione Opera Immacolata Concezione – Oic di Padova, peraltro uno splendido angolo di mondo trasformato dalla forza filantropica di Angelo Ferro, in cui si accolgono gli anziani in una “comunità diffusa”, cioè a contatto con altre generazioni, compresi i bambini.

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Toso (Oic): «Imparare strumenti e linguaggi»

«Abbiamo parlato di transizione digitale», spiega Fabio Toso, che di Oic è il direttore generale e che è una figura autorevoli in Uneba Veneto e nella stessa Uripa, presenti coi presidenti Francesco Facci e Roberto Volpe, «qualcosa che sicuramente richiama alla mente un cambiamento. E cambiamento sappiamo che è sempre qualcosa di difficile, qualcosa di ostico per le persone, perché vuol dire imparare qualcosa di nuovo. Ma la chiave è proprio questa: fare in modo che le persone non vedano il cambiamento, la digitalizzazione come qualcosa difficile da imparare, ma capire a cosa serve». Secondo Toso «è fondamentale per le persone sapere che loro sono il primo elemento di cambiamento, non lo strumento. Devono imparare delle cose, devono imparare degli strumenti, dei linguaggi, perché transizione digitale vuol dire imparare un linguaggio nuovo. Appena capiscono che questo linguaggio serve a condividere informazioni per prendersi cura dell’ospite, le persone comprendono che questo è il loro nuovo linguaggio e lo vogliono imparare, lo vogliono trasmettere».

L’a.d. Umana, Venier: «Gestire la trasformazione»

Gli ha fatto eco Giuseppe Venier, amministratore delegato di Umana, gruppo che ha messo a punto pacchetti formativi per il personale socio-sanitario del settore, manager e case manager, chiamato appunto a “governare” le nuove possibilità offerte dall’innovazione.

«Nel settore sanitario», spiega Venier, «è sempre più difficile trovare giovani preparati, mentre chi già lavora dovrà affrontare un’evoluzione professionale che riguarda non solo le competenze tecniche, ma anche le modalità di erogazione dei servizi. Allo stesso tempo, la crescente richiesta di assistenza rende necessario ripensare i modelli organizzativi. La digitalizzazione rappresenta una grande opportunità per il settore: può aumentare la produttività, liberare gli operatori da mansioni non essenziali e migliorare l’attrattività del comparto. Tuttavia, questa perché trasformazione va gestita con attenzione», aggiunge Venier, «coinvolge aspetti tecnici, relazionali e organizzativi. In un settore particolarmente esposto agli attacchi informatici, l’utilizzo crescente di dispositivi digitali, anche medici, può rappresentare un rischio. Per questo è fondamentale formare le persone non solo sulla cybersecurity, ma anche su un nuovo mindset digitale, che ancora oggi fatica ad affermarsi».

L’a.d. di Umana, Giuseppe Venier

A fotografare i bisogni e l’attitudine di questo mondo ci ha pensato il Cergas con una ricerca sulla digitalizzazione nel settore Long term care Ltc, «basata su 20 casi di studio in residenze per anziani e servizi domiciliari, il rapporto evidenzia come le tecnologie digitali possano migliorare l’efficacia dell’assistenza, ottimizzare i costi e ridurre il carico di lavoro del personale sanitario».

Le case history

Qualcosa si muove già, come hanno raccontato, Michele Testa, direttore Ipab Chiampo, – ha realizzato l’esperienza dell’armadio farmaceutico digitalizzato, che consente un’integrazione più efficiente tra ospedali e Rsa – Roberto Rigoli, direttore della funzione territoriale Ulss2 – ha affrontato il modello di integrazione territoriale come chiave per il futuro dell’assistenza – Paolo Galfione, amministratore delegato di Zucchetti Health Care, che ha presentato propiro  il caso della Fondazione Opera Immacolata Concezione Onlus, come esempio concreto di digitalizzazione dei processi assistenziali.

Pietro Segata, vicepresidente e d.g. di Società Dolce, intervenuto a Padova come presidente di Assistiamo Casa, ha fatto capire come le opportunità offerte dalla digitalizzazione per migliorare l’intero ecosistema della Ltc possa dare un contributo decisivo della continuità assistenziale nella rete delle cure intermedie. Società Dolce, big della cooperazione sociale presente in Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, aveva condiviso con VITA alcune aree di intervento a maggior tasso di innovazione sociale, nel podcast realizzato da chi scrive e intitolato: Architetti di Welfare.  Proprio uno dei questi episodi aveva raccontato come la digitalizzazione stesse cambiando l’approccio agli ospiti e alla loro cura.

Problemi attuali e visioni di futuro

Non un convegno sulle “magnifiche sorti e progressive” della tecnologia applicata al settore, intendiamoci. Anzi, proprio dal presidente di Uripa, Volpe, sono arrivate parole che richiamano la fatica quotidiana di chi opera su questo fronte: «I miei operatori sono diventati centometristi: quando ricoverano un ospite, prima che arrivi l’ambulanza, devono correre a fotocopiare la cartella clinica, perché con le Ulss non c’è condivisione dei dati sanitari», ha detto polemicamente ma rischiando lo scivolamento nel “benaltrismo”, che è una ben nota malattia di questo Paese.

Certo, vedere l’impegno concreto di molti, l’iniziativa di altri, la convinzione di altri ancora che dell’innovazione non si possa fare a meno, anche in mezzo a tanti problemi, drammatici e quotidiani, è stato certamente confortante.

Nella foto di apertura, di Paolo Bona per Fondazione Oic, un momento di attività nella sede principale di Padova.

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