Chi paga le rette nelle Rsa?
Non autosufficienza: i nodi vengono al pettine, ma il Governo si gira dall’altra parte
Sono ormai centinaia le sentenze che sanciscono il principio che il costo delle rette delle residenze sanitarie assistenziali per chi soffre di Alzheimer o di demenza debba essere completamente a carico del Servizio sanitario nazionale. Serve però una norma che regolamenti un sistema che altrimenti rischia di implodere sotto i colpi giudiziari delle famiglie che ricorrono nei confronti dei gestori che a loro volta si rivalgono sulle aziende sanitarie locali
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La Cassazione con la sentenza 33394 dello scorso dicembre ha, ancora una volta (non esiste una conteggio ufficiale, ma i casi sul territorio nazionale ormai sono centinaia), sancito il principio in base al quale le rette di degenza in Rsa per i malati di Alzheimer sono a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale in caso di inscindibilità delle prestazioni sanitarie da quelle sociali.
Succede quindi che gli enti gestori «in quanto accreditati e componenti del sistema dei Lea, essendo chiamati ad applicare le normative regionali, vengono chiamati in giudizio dagli utenti, con richieste di rimborso di rette già pagate, o per rifiuto di pagamento delle quote di compartecipazione “sociale”, ritenute non dovute. I gestori, che non possono rispondere direttamente dell’applicazione di dette normative, subiscono gli immediati effetti economici negativi, cui possono porre rimedio solo attraverso ulteriori azioni legali di recupero nei confronti dei Comuni, delle Aziende Sanitarie Locali o delle Regioni», come hanno scritto le organizzazioni di gestori Aiop, Aris, Ansdipp, Anaste, Airs, Confapi Sanità, Diaconia Valdese, Legacoop sociali e Uripa, Uneba in una lettera aperta chiedendo, per l’ennesima volta, un incontro al ministro della salute Orazio Schillaci, al viceministro delle politiche sociali Maria Teresa Bellucci e al presidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga affinché si apra un tavolo di confronto per affrontare il nodo che rischia di far saltare il banco dell’assistenza agli anziani in autosufficienti nel nostro Paese.
I conti li fa l’avvocato Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia: «Pensare che una patologia degenerativa cronica determini la totale gratuità del ricovero nell’ ultimo periodo della vita rischia di “far saltare” il sistema sanitario nazionale. Noi abbiamo in Italia circa 300mila posti letto residenziali (e ne sarebbero necessari 600mila), destinati a ultraottantacinquenni con tre o più patologie. Il costo di un anno di ricovero per la quota sociale è, ipotizzando 80 euro di retta, di circa 30mila euro, traslandoli quali costi sanitari diverrebbero 10 miliardi di euro di maggiore spesa sanitaria per i posti letto attuali e 20 per quelli ritenuti necessari».
«Il riconoscimento del diritto del cittadino alla gratuità delle cure all’interno dell’assistenza ricevuta nelle Rsa– rincara Massimo Ascari, presidente nazionale Legacoopsociali – per determinate patologie, nello specifico l’Alzheimer e le altre demenze, che sembra affermarsi in queste sentenze, deve accompagnarsi a una legge che individui le risorse necessarie, a carico del Sistema Sanitario Nazionale, norma che ad oggi non esiste. In assenza di un quadro normativo ben definito, l’intero settore rischia di subirne le conseguenze: per sostenere i costi della cura, in primis quello legato a quello del personale impiegato, i gestori delle Rsa devono avere la naturale evidenza che la retta del servizio erogato sarà corrisposta. Allo stesso modo, riconosciuta la gratuità del servizio per l’utente, è necessario attuare al più presto l’applicazione di questo diritto». Insomma il decisore politico si faccia sentire. Rimarca Ascari: «Il Governo non si volti dall’altra parte, non è pensabile voltarsi dall’altra parte e gestire una questione sociale di questa portata per via giudiziaria».
Anche perché, interviene Pietro Segata presidente di Società Dolce di Bologna, una delle maggiori cooperative sociali italiane che gestisce diversi servizi residenziali per anziani «la coperta è corta». Dal suo punto di vista di ci sono due strade che portano allo stesso punto. La prima «è l’aumento della spesa sanitaria per far fronte a quanto stabilito dalle sentenze attraverso fondi statali o l’addizionale Irpef come ha coraggiosamente fatto la Regione Emilia Romagna». Se così non dovesse essere, «a fronte di un costante aumento dei bisogni di assistenza degli anziani e dell’aumento delle povertà cresceranno le richieste di assistenza indiretta ai Comuni di residenza, come già sta avvenendo da 2/3 anni a questo parte». In ogni caso un aumento della spesa pubblica per rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più vecchia e sempre meno abbiente.
Ricordiamo che il 21 marzo 2023, la Legge delega 33 aveva previsto, per la prima volta in Italia, la costruzione di un sistema di welfare che si occupa della non autosufficienza degli anziani. La riforma ha riconosciuto il diritto degli anziani ad essere assistiti in modo adeguato e integrato. Il decreto legislativo di attuazione di fatto ha annichilito lo spirito della norma, introducendo nel sistema una sperimentazione per una platea ridottissima di persone. Non solo: il tema è da mesi ormai totalmente estraneo all’azione di governo. Ministro Schillaci e viceministro Bellucci, ci siete?
Foto Sintesi: Il ministro Orazio Schillaci e la viceministra Maria Teresa Bellucci
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