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Noi, ong di Allah aiutati dagli ebrei di Los Angeles

Darfur. Intervista a Adnan Cheema, direttore di Islamic Relief, l'organizzazione non governativa più attiva in Sudan. Spiega a Vita il motivo del suo successo

di Joshua Massarenti

Dal nostro inviato a Karthoum «L?Islamic Relief? Con loro non abbiamo molto a che fare, ma da quanto mi risulta, qui a El Geneina stanno facendo un ottimo lavoro». Se l?ong internazionale di matrice islamica fosse solo un marchio, allora il giudizio espresso da Fabrice Weissman, capo missione di Medici senza frontiere nella capitale del West Darfur, potrebbe equivalere a un timbro di fiducia posto da una delle istituzioni più prestigiose del mondo umanitario. Alla sede centrale dell?Islamic Relief World Wide, c?è chi ci ride su. Ma forse non più tanto, perché le parole di Weissman rispecchiano fedelmente le impressioni raccolte da Vita presso numerose ong e agenzie Onu presenti in Sudan. Negli occhi di Adnan Cheema non si scorge né punta di orgoglio, né fierezza. Solo la coscienza di voler assumere le proprie responsabilità. Che poi, in qualità di Country director in Sudan, significa gestire a soli 33 anni uno staff di 180 sudanesi e un budget complessivo di 4 milioni di euro (per il 2005), un terzo dei quali riservati al Darfur. «Gli ultimi otto anni passati in questa ong sono una buona base per affrontare le crisi sudanesi». Vita: A quando risale la presenza del-l?Islamic Relief in Sudan? Adnan Cheema: All?inizio degli anni 90, prima con attività di emergenza nell?Est del Paese e poi con progetti di sviluppo nel Nord Kordofan. Ma la svolta si è verificata nel 2003 con l?apertura di nuove sedi in Sud Sudan, nel Blu Nile e poi dall?estate 2004 a El Geneina. Vita: Perché avete scelto il West Darfur? Cheema: Per il semplice fatto che le ong erano principalmente concentrate nel Sud e nel Nord del Darfur. Il West Darfur è un?area molto isolata. Vita: Che tipo di attività portate avanti? Cheema: Finora, la nostra azione umanitaria si è concentrata a Karinding II, un campo profughi alle porte di El Geneina. Tutte persone originarie dei villaggi circostanti della capitale del West Darfur che, all?inizio del 2004, si sono rifugiate dentro la città, occupando scuole e uffici amministrativi. Que-sto ha creato un disagio tale che, in accordo con le autorità locali e le Nazioni Unite, l?Islamic Relief si è proposto di allestire un campo riservato a questi sfollati. Le nostre prime attività hanno riguardato l?allestimento di rifugi provvisori e la distribuzione di cibo, coperte e altri beni di prima necessità. Vita: Siete l?unica realtà presente in quel campo? Cheema: No. Stiamo collaborando con Echo e alcune agenzie Onu come Unicef e Wfp. Assieme a Unicef abbiamo costruito una scuola all?interno del campo. Abbiamo inoltre messo in piedi una clinica riservata non solo ai 9mila profughi di Kirinding II, ma anche a quelli presenti in altri campi vicini, nonché alle comunità locali che convivono con gli sfollati. Infine abbiamo costruito pozzi per l?acqua potabile e latrine per l?igiene. Vita: Chi vi finanzia? Cheema: Le nostre attività in Darfur sono state in larga misura finanziate da donatori privati statunitensi di fede musulmana. Tuttavia, una grossa mano l?abbiamo ricevuta anche dai mormoni, così come dalla comunità ebraica di Los Angeles, disposta a sostenere le nostre attività educative. Vita: Immagino che le difficoltà non manchino… Cheema: Da quel punto di vista, il Darfur è una sfida continua. Il primo ostacolo è la distanza che separa il Darfur da Khartoum. Con il caro benzina, il trasporto di materiale umanitario è diventato costosissimo. La difficoltà di trovare personale locale competente è un altro problema comune a tutte le ong. Il peggio è che, una volta formati, alcuni membri del nostro staff fuggono verso le agenzie internazionali in cerca di stipendi migliori. Al resto ci pensano la stagione delle piogge, che ostacola gli spostamenti via terra, e l?insicurezza che regna nell?intera area. Da ormai due mesi il West Darfur è in preda a un clima di violenza molto preoccupante. Vita: Con quali ripercussioni? Cheema: A differenza di altre ong, i nostri progetti sono molto vicini a El Geneina, quindi meno a rischio. Per dirne una, il nostro personale non è mai stato aggredito. Abbiamo invece segnalato furti di materiale e la distruzione di alcuni pozzi. Purtroppo non sappiamo nemmeno l?identità dei responsabili. Janjaweed? Ribelli? Semplici banditi? Mi creda, qui la confusione è massima. Per tutti. Vita: Come ci si muove in Sudan con un?ong di matrice islamica? Cheema: Dipende dalle aree di intervento. Nel caso del Sud Sudan, dove prevale una realtà cristiano-animista, è stato inizialmente difficile intervenire. Sia la popolazione locale che gli ex ribelli dell?Splm, ci guardavano con grande diffidenza. Ma attraverso progetti seri e mirati siamo riusciti a conquistare la loro fiducia. Sembrerà paradossale, ma nonostante in Darfur siano i musulmani a prevalere, incontriamo minori difficoltà in Sud Sudan.


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