Rapporti & Analisi

Noi non doniamo e ora vi diciamo perché

Il 37% degli italiani non dona: è importante capire chi sono questi cittadini e quali sono le loro motivazioni, per provare a invertire il loro comportamento. Lo fa per la prima volta un focus del rapporto annuale dell'Istituto Italiano della Donazione. Sorpresa, non c'entra il dubbio sull'onestà delle organizzazioni non profit ma quello sulla loro efficacia. Da qui l'invito a raccontare meglio l'impatto

di Sara De Carli

Quello sui “non donatori” è il focus più interessante dell’edizione 2023 del rapporto Noi doniamo, realizzato dall’Istituto italiano della donazione-Iid e presentato ogni anno in occasione del Giorno del Dono del 4 ottobre. Il report, diciamolo subito, documenta per il 2022 una “ripresina” in tutte le dimensioni del dono: quella economica delle donazioni in denaro, quella del volontariato (dono di tempo e di competenze) e quella biologica (donazioni di sangue, organi, cellule). 

Permettetemi però di rimandare un momento la presentazione dei dati e dei trend (il report comunque è consultabile integralmente qui), per partire dalla fine, ossia dall’indagine qualitativa sulle motivazioni del non dono, realizzata da WaldenLab. L’approfondimento sta all’interno del report sotto il titolo Le motivazioni del non dono, le possibili leve per superarle, a firma di Paolo Anselmi, il presidente di Walden Lab, che questa mattina però nel presentarne la sintesi ha efficacemente intitolato la sua relazione “Noi non doniamo”, con un efficace ed esplicito richiamo al titolo del rapporto dell’Iid, Noi doniamo.

Perché il punto cruciale è quello lì, al di là dei piccoli o grandi segnali di ripresa: in dieci anni il numero di donatori in Italia – per una questione demografica, per il contesto economico e per ragioni culturali – in realtà è calato e il tema fondamentale allora è quello di allargare la platea, intercettare nuovi donatori, spostare il comportamento dal non dono al dono.

La sfida è combattere l’astensionismo dal dono e intercettare nuove forme di partecipazione, per coinvolgere sempre più persone a mettersi in gioco e ad esprimere concretamente, anche attraverso il dono, il proprio personale contributo

Stefano Tabò, presidente dell’Istituto italiano della donazione

Lo stesso Stefano Tabò, presidente dell’Istituto italiano della donazione, ha sottolineato infatti che «la sfida è combattere l’astensionismo dal dono e intercettare nuove forme di partecipazione, per coinvolgere sempre più persone a mettersi in gioco e ad esprimere concretamente, anche attraverso il dono, il proprio personale contributo».

Il profilo del non donatore

«Le ricerche e gli studi condotti per descrivere e comprendere il fenomeno delle donazioni hanno avuto come oggetto prevalente l’analisi dei comportamenti e delle motivazioni dei donatori. Assai meno indagato è stato il segmento di chi non dona, ovvero di coloro che in modo temporaneo o permanente si astengono dall’offrire un contributo economico alle organizzazioni non profit. In verità l’analisi delle motivazioni del non dono può offrire un contributo significativo alla comprensione delle ragioni che ostacolano la scelta di donare e di conseguenza all’impostazione di più efficaci strategie di comunicazione e di raccolta fondi specificamente rivolte a questo segmento e volte ad allargare il bacino dei donatori», afferma Paolo Anselmi. A partire da questa considerazione, l’edizione 2023 dell’Osservatorio sulle Donazioni, realizzato annualmente da Walden Lab ed Eumetra su un campione di 1.500 persone rappresentativo della popolazione italiana adulta, ha dedicato una particolare attenzione alla comprensione di questo fenomeno, raccogliendo anche «una sollecitazione venuta da diverse delle organizzazioni che aderiscono all’osservatorio». 

Dal punto di vista quantitativo, il dato a cui fare riferimento è quello rilevato da BVA Doxa con la rilevazione annuale “Italiani solidali”, che parla di un 37% di italiani che nel 2022 non ha fatto nemmeno una donazione, né informale né ad organizzazioni non profit. L’anno prima, nel 2021, erano ben il 54%. Peraltro la prima risposta, quella spontanea, attesterebbe i non donatori addirittura al 44%: in calo certamente rispetto al 61% del 2021 ma comunque  colpisce quanto la percentuale poi si abbassi  andando a fare degli esempi di possibile donazione, che ci dice che – ha ribadito Valeria Reda, senior research manager di BVA Doxa – «non sempre ci sia consapevolezza nell’atto di donazione, per cui ogni volta che analizziamo i numeri del fenomeno dobbiamo considerare che c’è un sommerso che sfugge alle rilevazioni, dove non sempre chi è donatore sa di esserlo o si percepisce tale».

Fra i non donatori, poi, c’è chi è un “ex donatore” e chi non ha mai donato in vita sua, i “mai donatori”: le differenze vere di profilo e di motivazioni, quelle che è importante indagare, stanno tanto fra “donatori” e “mai donatori”. I “mai donatori”, spiega Anselmi, «sono un po’ più giovani, un poco meno dotati di risorse economiche e culturali, un po’ meno attivi professionalmente: tutte accentuazioni che mettono in luce la relazione positiva tra reddito e istruzione elevata e propensione al dono, già note». Vi sono però poi alcune significative caratterizzazioni dei donatori sul piano comportamentale, tre in particolare: il minor livello di informazione da parte dei non donatori, con meno lettura di quotidiani (31% vs 51% dei donatori) e periodici (32% vs 62%), una meno frequente pratica religiosa (il 31% dei donatori si dichiara praticante vs il 7% di chi non dona) e una minor pratica – continuativa o occasionale – di volontariato (fa volontariato il 54% dei donatori vs il 22% dei non donatori). 

Rispetto al sistema valoriale delle persone, emerge una contrapposizione tra l’orientamento individualistico-familista di chi non dona e l’orientamento solidale, prosociale, di attenzione al bene comune di chi dona. «Le interviste in profondità hanno messo in luce da parte dei donatori una visione meno pessimistica del futuro: nessuno nasconde la gravità dei problemi ambientali, sociali e umanitari che dobbiamo fronteggiare ma alla percezione della gravità dei problemi si accompagna sempre la preoccupazione per il bene comune e il desiderio di contribuire alla ricerca di soluzioni piuttosto che l’atteggiamento di pessimismo e la rassegnazione che invece prevale tra i non donatori. Inoltre – ed è forse il tratto più importante – i donatori sono accomunati da un maggiore “senso di efficacia personale” ovvero dal valore attribuito a quello che ciascun cittadino può fare per contribuire alla soluzione dei problemi sociali, ambientali, umanitari: chi è donatore crede nel valore di quanto ciascuno può fare per favorire un cambiamento positivo della società in cui viviamo».

I donatori sono accomunati da un maggiore “senso di efficacia personale”: chi è donatore crede nel valore di quanto ciascuno può fare per favorire un cambiamento positivo della società in cui viviamo

Paolo Anselmi, presidente Walden Lab

Terzo tema, per i non donatori è molto molto più bassa la percezione della rilevanza del Terzo settore per il Paese: il Terzo settore è molto/moltissimo rilevante per il 62% dei donatori mente lo è appena per il 18% dei non donatori, con una distanza di ben 44 punti percentuali. «C’è quindi innanzitutto un tema fondamentale di fare una grande campagna di informazione e di immagine per il Terzo settore nel suo complesso», afferma Anselmi, «perché la debolezza di immagine di Terzo settore è certamente un freno al dono».

Perché i non donatori non donano

Vediamo innanzitutto le risposte date dagli ex-donatori. Al primo posto ci sono le difficoltà economiche: “ho avuto la necessità di contenere le spese” (42%). Al secondo posto (27%) si trova la risposta “ho avuto altre preoccupazioni, problemi personali o familiari”. Gli ex-donatori citano poi come motivazioni di non-dono, alcune ragioni che fanno esplicito riferimento al comportamento delle Onp sostenute in passato, con una critica esplicita o implicita alle modalità comunicative: “non mi sono sentito sufficientemente coinvolto/motivato” (12%), “non ho più ricevuto solleciti a donare” (8%), “non ci ho pensato, me ne sono dimenticato” (9%). Si tratta di motivazioni che richiamano l’importanza di una buona comunicazione, in particolare di una maggiore continuità e costanza nei messaggi destinati agli ex-donatori.

Per inciso nella ricerca dell’Iid, che ogni anno fa un monitoraggio tra le organizzazioni non profit in collaborazione con CsvNet rispetto all’andamento della raccolta fondi, quest’anno con 331 organizzazioni rispondenti (vedi oltre), «la perdita di donatori fedeli non viene mai segnalata come un elemento di problematicità, questo tema non ha mai superato il 7% delle risposte e quest’anno siamo al 5%», afferma Cinzia Di Stasio, segretaria generale dell’Istituto. 

Se andiamo a interpellare invece i “mai donatori” citando anch’essi le difficoltà economiche: “non me lo posso permettere” (36%) e difficoltà/problemi individuali o familiari (23%) ma al primo posto come motivo di non dono per loro si colloca il tema della scarsa fiducia: “non ho fiducia nelle organizzazioni non profit, non mi fido di come spendono i fondi raccolti” (38%). 

Il tema dell’efficacia

Ed eccoci quindi al punto cruciale: che cosa genera fiducia o mancanza di fiducia nelle organizzazioni non profit?  Per i “mai donatori” la scelta del non dono deriva da una valutazione di scarsa efficacia e di scarsa professionalità delle organizzazioni non profit: “non sono efficaci/non risolvono i problemi” (8%) e “non sono gestite in modo professionale” (7%). «È interessante notare che anche tra i “mai donatori” non compaiono riferimenti a scandali e truffe. Non è dunque la mancanza di correttezza/onestà a costituire una barriera al dono quanto piuttosto la percezione che il modo di operare delle organizzazioni non sia pienamente efficiente ed efficace», sottolinea Anselmi.

«Questo contribuisce anche a spiegare la più sorprendente delle risposte fornita dai “mai donatori”, ossia “preferisco altre forme di solidarietà: elemosina, sostegno diretto a chi ha bisogno” (18%) che indica come un’azione solidale “diretta”, in cui è più facile controllare il risultato del proprio dono venga preferito ad un comportamento di delega ad un’entità percepita come più distante e difficile da controllare».

Tra i “mai donatori” non compaiono riferimenti a scandali e truffe. Non è dunque la mancanza di correttezza/onestà a costituire una barriera al dono quanto piuttosto la percezione che il modo di operare delle organizzazioni non sia pienamente efficiente ed efficace

Paolo Anselmi

Quindi c’è un tema di professionalizzazione/efficienza nella gestione delle risorse ma anche – forse di più – di efficacia, ossia di capacità di raggiungere dei risultati «e di questo le organizzazioni non profit dovrebbero tener conto nella loro rendicontazione, oggi centrata molto sul come sono stati spesi i soldi e meno sul quali sono i risultati raggiunti», conclude Anselmi. 

Noi doniamo, la sintesi

Torno al rapporto Noi doniamo nel suo complesso, che come detto registra segnali di ripresa in tutte le dimensioni del dono, nel 2022. Rispetto alle donazioni in denaro (capitolo indagato con il supporto di BVA Doxa e la sua annuale indagine Italiani solidali, le cui anticipazioni sul 2022 sono già state inserite a febbraio 2023 da VITA nell’ottavo Italy Giving Report), c’è un aumento dei cittadini che hanno fatto almeno una donazione (cresce sia il numero di chi dona a un’organizzazione non profit sia di chi fa una donazione informale) e sale la donazione media destinata a una non profit (da 61 a 69 euro). Valeria Reda, nel presentare l’indagine, ha sottolineato come quest’anno – complice anche il nuovo panel di intervistati, più ampio e che comprende più persone abituate a muoversi nel web – balza in terza posizione tra le cause preferite dai donatori la protezione degli animali. Rispetto alle cause su cui tra il 2021 e il 2022 è cambiata maggiormente la propensione al dono degli italiani vanno segnalate l’assistenza a persone malate/con disabilità in Italia (dal 7% al 19%), l’infanzia nel mondo (dal 7% al 15%) e la lotta all’inquinamento/difesa dell’ambiente (dal 5% all’11%).

Quanto al volontariato, pur tenendo sullo sfondo il trend negativo rilevato dal Censimento delle istituzioni non profit di Istat, nel 2022 il Rapporto BES registra una ripresa, in particolare tra i giovanissimi: la fascia 14-17 anni fa un balzo in avanti di 2,5 punti percentuali (dal 3,9 al 6,4%), quella dei 18 e 19enni passa dall’8,9 al 9,4, la 20-24 anni dall’8,9 al 9,2%. In merito alla distribuzione per area geografica, le regioni del nord si confermano quelle con maggiore propensione all’impegno gratuito nelle associazioni (10,2%). Al Nord-Ovest la percentuale è del 10,2%, al Nord-Est sempre del 10,2%, al Centro risale all’8%, mentre al Sud arriva al 6% e nelle Isole al 5,4%. La probabilità di impegno sale al diminuire della densità abitativa: è nei piccoli Comuni fino a 2mila abitanti che si incontra la maggiore propensione ad impegnarsi nelle associazioni (10,4%) e nelle più grandi aree metropolitane la quota meno significativa (7,6%). Per il volontariato quindi si può parlare di una ripresa nel contesto di crisi strutturale.

Terzo ambito osservato, la donazione di sangue, cellule e tessuti, organi: tutti con buoni risultati. 

Il monitoraggio della raccolta fondi delle organizzazioni (e l’andamento lento del corporate fundraising)

Sempre molto interessante l’indagine Iid sull’andamento delle raccolte fondi da parte delle organizzazioni non profit, giunta alla sua XXI edizione. L’indagine viene effettuata annualmente nei mesi estivi, sulla base dei dati di bilancio relativi all’esercizio precedente e alle previsioni per l’esercizio in corso. I risultati del 2022 confermano una situazione di stabilità con scorci di graduale miglioramento già rilevato l’anno scorso: il 40% del campione ha registrato un incremento di entrate totali (33% nel 2021); il 29% denuncia un decremento (39% nel 2021) e il 31% conferma la sostanziale stabilità (28% nel 2021). Questi risultati tornano pertanto ad allinearsi con quelli degli anni precedenti alla pandemia, quando gli enti in miglioramento si erano sempre attestati tra il 35% e il 42% del totale. Anche i dati sulle entrate da raccolta fondi confermano un generale miglioramento nel 2022: il 47% dei rispondenti, infatti, ne registra un aumento (46% nel 2021), il 25% una diminuzione (41% nel 2021), mentre per il 28% la situazione rimane invariata (13% nel 2021). Restringendo il focus sulle donazioni da individui, si convalida lo stato dell’arte di sostanziale equilibrio, con segnali di timido miglioramento, sopra rappresentato. Le entrate da raccolta fondi da individui risultano infatti aumentate per il 40% del campione (34% nel 2021), diminuite per il 23% (37% nel 2021) e rimaste sostanzialmente invariate per il 37% (29% e 2021). 

In equilibrio rispetto all’anno precedente le entrate provenienti da aziende, che invece erano aumentate nel 2021. Il 27% dei rispondenti comunque afferma di non aver ricevuto donazioni da aziende nell’ultimo anno. Rispetto agli strumenti, anche per il 2022 il ricorso a bandi e finanziamenti si conferma essere lo strumento di raccolta fondi più usato ed efficace: per il 23% dei rispondenti è il mezzo maggiormente utilizzato e il 26% lo considera il più efficace. Tornano in auge i banchetti e gli eventi di piazza, dopo gli anni del Covid. Mentre rispetto al corporate fundraising non sembra forte la soddisfazioni delle organizzazioni: sia la voce dell’utilizzo sia la voce dell’efficacia lo vede in calo (dal 4% al 2% come utilizzo e dal 9% al 4% come efficacia). 

Foto di Katt Yukawa su Unsplash

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