Medio Oriente
«Noi la guerra non la facciamo». Storie di chi ha deciso di allearsi per la pace
È in distribuzione il numero di febbraio di VITA magazine. La guerra si insegna, e la pace invece? Pace che oggi sembra una parola impossibile, soprattutto quando pensiamo al conflitto tra Israele e Hamas. Eppure è in Israele e Palestina che sono nati movimenti ed associazioni coraggiose che ogni giorno, insieme, lavorano guidati dallo stesso slogan: «Noi la guerra non la facciamo»
di Anna Spena
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Il nove febbraio un funzionario di Hamas ha dichiarato che l’esercito israeliano ha lasciato il corridoio Netzarim, una strada che divide in due la Striscia di Gaza. Il ritiro fa parte degli accordi per la tregua formati da Israele e Hamas.
Una tregua, come abbiamo raccontato in questo pezzo “Gaza, noi cooperanti tra tregua e burocrazia” che ha dato il via da un lato alla liberazione degli ostaggi e dall’altro ad una parentesi di respiro per i palestinesi e per gli operatori umanitari che ora hanno condizioni di sicurezza – almeno quelle minime – per lavorare. Un cessate il fuoco che però rimane fragile e si tema possa interrompersi da un momento all’altro. La parola pace sembra essere una parola impossibile. Eppure è in Israele e Palestina che sono nati movimenti ed associazioni coraggiose che ogni giorno insieme lavorano guidati dallo stesso slogan: «Noi la guerra non la facciamo».
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Daniel Mizrahi lo scorso anno si è rifiutato di combattere per l’esercito israeliano. Questo rifiuto gli è costato 50 giorni di carcere perché nel Paese la leva militare è obbligatoria. «Sono cresciuto come colono in Israele e la “cosa normale” per noi coloni dovrebbe essere arruolarci. Da piccoli ci fanno il lavaggio del cervello e ci dicono “i palestinesi e gli arabi sono il nemico”. Io invece oggi dico che non combattere è la scelta migliore che può fare qualunque cittadino o cittadina israeliana. Ed è il primo step per costruire una società democratica ed inclusiva». Mizrahi fa parte della rete Mesarvot, un gruppo di attivisti che rifiuta di prestare il servizio militare obbligatorio. Anche Itamar fa parte della stessa rete, adesso è in carcere: ci resterà complessivamente per 195 giorni. Così come Netta: «Mi rifiuto di combattere perché credo che in questo Paese si possa vivere in pace e sicurezza. Invece oggi le azioni dell’esercito israeliano vanno tutte in un’altra direzione». Gli attivisti e le attiviste di Mesarvot sono giovani che hanno detto “no, noi la guerra contro i palestinesi non la facciamo”. La rete organizza momenti di sensibilizzazione in Israele e all’estero per far conoscere la loro missione.
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