Welfare

Noi, giornalisti in prima linea

«Dal ’93», racconta Omar Belhouchet, «gli estremisti islamici hanno ucciso sessanta colleghi. Che cosa vogliamo? Che l’Europa chieda al regime di aprirsi»

di Redazione

Omar Belhouchet ha 43 anni e dirige il quotidiano democratico algerino El Watan, 40 mila copie diffuse dal 1990; nel curriculum, ha un attentato subito e una bomba messa nel suo giornale. «Dal 1993 sono 60 i giornalisti che sono stati assassinati», ci dice, «mentre dal ?96 il controllo governativo sulla stampa è pressoché totale. Agenti della Surété, la polizia governativa, accompagnano i giornalisti ovunque, ufficialmente per proteggerli. E così capita di intervistare qualcuno che accusa il governo di assassini e sparizioni, indicando proprio gli agenti che aspettano nella stanza accanto». C?è chi accusa i servizi segreti algerini di compiere stragi per spingere Europa e Usa a intervenire… «Il regime è sicuramente colpevole perché non rispetta i diritti dell’uomo e censura la stampa, ma non è responsabile delle stragi. Queste sono compiute dai Gia, i Gruppi integralisti armati, e sono coerenti con la loro strategia, ampiamente preannunciata attraverso i comunicati emessi dai loro rappresentanti residenti a Londra». Eppure l’esercito governativo non interviene quasi mai… «L’87 per cento dell?esercito è composto da soldati di leva impauriti, demotivati e arrabbiati col governo considerato composto da una classe corrotta dal petrolio. In queste condizioni non ci si azzarda a uscire dalle caserme per affrontare terroristi sanguinari e motivatissimi, che minano le strade e perfino i cadaveri». Cosa si aspetta dall’Europa? «Che finalmente assuma una posizione comune sul mio Paese. Che richieda al governo di aprirsi in modo democratico in cambio di aiuti. Credo sia la strada giusta. Anzi, l’unica».


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