Formazione

Noi, educatoribper natura

non solo scuola Cooperazione sociale e formazione: un binomio inscindibile

di Redazione

Un continuo processo di apprendimento della realtà. Così si può sintetizzare il lavoro dell’impresa sociale. Che per questo ha da sempre un rapporto privilegiato coi giovani, sia come utenti dei servizi che come attori protagonisti.
Ma qual è la sua ricetta educativa vincente?
I l tanto annunciato “autunno caldo” di contestazioni ai provvedimenti del governo sulla scuola si sta gradualmente trasformando in un atto di accusa all’intero sistema educativo italiano. Dal ruolo della scuola a quello delle imprese: nel mirino non c’è soltanto il modello di istruzione, ma lo stesso paradigma di sviluppo socio-economico e culturale del nostro Paese. E non è un caso che quasi alla vigilia del crac economico persino il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, abbia fatto riferimento all’importanza del trinomio scuola-università-ricerca per il futuro dell’Italia. Dunque, la questione è: come fare dell’educazione un vero motore di sviluppo sostenibile. I tre giorni di Educa, a settembre, hanno fornito una prima risposta, indicando nella cooperazione sociale un efficace strumento di collegamento tra luoghi del sapere e del fare.

Teoria e prassi
«La cooperazione grazie al suo statuto e alla sua particolare forma organizzativa, è potenzialmente un laboratorio di connessione tra la teoria e la prassi», spiega Mauro Magatti , preside della facoltà di Sociologia dell’università Cattolica di Milano. «Perché il problema è che, a differenza degli altri Paesi europei, in Italia permane una cultura idealista che ispira una formazione sempre più lontana dalla realtà e gli effetti si vedono soprattutto all’esterno del mondo accademico. Le nostre imprese non educano e soprattutto non riflettono su ciò che fanno, sul loro impatto sui territori».
Ecco allora che la cooperazione sociale acquista un ruolo educativo importante proprio per il suo peculiare imprinting socio-economico e per la sua vicinanza al mondo giovanile. Oltre il 60% dei servizi erogati dalle sole cooperative di tipo A, infatti, riguarda l’istruzione e l’orientamento scolastico, prescolastico e lavorativo; tanto che dei 3,3 milioni di utenti, oltre il 30% sono minori. Ma non basta. Sono sempre di più gli under 40 che lavorano nelle o per conto delle cooperative. «La realizzazione di percorsi educativi originali, l’orientamento e l’esperienze interculturali per giovani a rischio di esclusione sociale o, ancora, i progetti di reinserimento nel circuito scolastico, di contrasto al bullismo e di integrazione lavorativa, testimoniano un impegno concreto nella produzione di opportunità di sviluppo socio-culturale», spiega Sergio D’Angelo , vicepresidente di Legacoopsociali. Impegno che non si ferma alla sola erogazione dei servizi. «La cooperazione sociale è un fenomeno relativamente recente che ha conservato un forte appeal soprattutto nei confronti dei giovani, per la sua capacità di formare cittadini più responsabili e consapevoli del proprio ruolo sociale», continua. «Una realtà la cui principale caratteristica è stata quella di continuare a organizzarsi e di ricercare nuove modalità di risposta, puntando innanzitutto su percorsi di autoapprendimento e sulla formazione continua».

Formazione non stop
Si pensi solo che ben il 90% delle cooperative italiane fa formazione continua contro nemmeno il 32% delle aziende private ( fonte Istat ). Inoltre, più del 70% delle imprese sociali svolge formazione pianificata e differenziata, in base alle esigenze specifiche dei lavoratori. Segno che la cooperazione è di per sé uno strumento di crescita personale. «La differenza è che Confindustria chiede formazione, noi la facciamo», spiega Paola De Cesari , presidente di Luoghi per crescere Cgm. «Per la cooperazione sociale la formazione continua è un’esigenza imprescindibile perché contribuisce alla creazione di cittadini consapevoli del proprio ruolo sociale e dell’importanza del lavoro svolto sul territorio. Così si cerca di insegnare ai ragazzi a fare i conti con il reale, a rischiare in base alle proprie competenze e creatività, ma soprattutto ad interagire con i bisogni del territorio di riferimento e appartenenza. L’idea di fondo è che conoscere la realtà vuol dire mettere continuamente in discussione il proprio oggetto di lavoro; un processo molto arricchente dal punto di vista educativo che spesso convince i ragazzi a continuare l’esperienza cooperativa».
Tendenza confermata da una ricerca Icsi 2007 pubblicata sulla rivista Impresa Sociale , secondo la quale quasi il 70% dei giovani dichiarano di voler rimanere in cooperativa perché soddisfatti soprattutto dall’utilità sociale del lavoro svolto. La spiegazione è semplice e chiama in causa la stessa peculiarità del fare cooperazione. «La trasformazione in senso imprenditoriale dell’esperienza educativa ha avuto il merito di introdurre una novità sorprendente, quella di coniugare la professionalizzazione delle prestazioni educative e la finalità non lucrativa dell’impresa sociale stessa», conclude D’Angelo. «Per l’impresa sociale percorrere questa strada è ciò che le ha consentito di legittimare da una parte la sua esistenza, e dall’altra di recuperare proprio dall’ambiente le risorse indispensabili per continuare ad esistere, offrendo ciò che è in grado di creare e che l’ambiente richiede».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA