Famiglia
Noi della Diaz: un anno dopo
A un anno di distanza Peacelink e Altraeconomia alle Dia/Pertini per dire "No alla violenza"
Vorrei raccontare un’esperienza straordinaria, appena terminata.
Infatti ad un anno di distanza dai fatti di Genova PeaceLink è tornata – assieme agli amici di Altreconomia – in quella città per parlare con i poliziotti e con coloro che sono stati colpiti dalla violenza. “Noi della Diaz” è stato il titolo di questo incontro che si è svolto il 14 luglio e di cui appena ora abbiamo trascritto alcune testimonianze, di cui oggi riferiscono anche la Repubblica (pagina 12) e La Stampa (pagina 8).
E’ stato ricco di emozioni: manifestanti e poliziotti si sono parlati e guardati negli occhi, ed è stato un un dialogo civile. E’ il primo confronto pubblico in Italia di questo genere ed ha avuto il significato di rompere il ghiaccio, nello stile della nonviolenza che stimola la verità e la riconciliazione. E’ importante descrivere il pubblico e i presenti all’incontro: il papà e la mamma di Carlo Giuliani, rappresentanti sindacali della polizia, gente picchiata, giornalisti testimoni di quei giorni. Amnesty International aveva appena diramato un rapporto in cui vi è scritto: “Durante il G8 di Genova si è verificata una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste nella più recente storia d’Europa. Ci sono stati attacchi indiscriminati a pacifisti, inclusi minori, a giornalisti, medici e infermieri”.
A raccontare delle percosse subite nel blitz notturno dentro la scuola Diaz c’è Stefania Galante, padovana e studentessa negli Usa, presente nella scuola Diaz durante il blitz della polizia. Racconta: “Il tempo di mettere le coperte per terra. Quando ho visto la violenza bruta della polizia ho pensato ad un colpo di Stato. Un poliziotto gridava: nessuno sa che siamo qui, vi possiamo ammazzare tutti. Ho visto braccia rotte, teste insanguinate, scene indescrivibili. E anche nella caserma di Bolzaneto torture fisiche e psicologiche”. Con lei c’è Matteo Bertola, con una maglietta su cui è scritto “ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare”; Matteo ricorda quei momenti terribili: “Ho visto violenza, sangue, sputi, manganellate e una ragazza tedesca trascinata per i capelli come in un cartoon”. Nella scuola Diaz non sono stati pestati solo giovani; Arnaldo Cestaro, un anziano signore con i capelli bianchi, racconta: “Quella sera alla Diaz m’ero già addormentato, e sento un gran rumore: madonna, ho detto, saranno mica i black bloc? Invece era la polizia, la nostra polizia. Sono stato il primo a prendere le botte. Prima da uno, poi da un altro, perché siamo nella democrazia dell’alternanza. Gridavo: “basta!”. Mi hanno rotto un braccio e una gamba”.
E’ da annotare che la furia violenta nella Diaz si sarebbe scatenata per una presunta coltellata ad un poliziotto che attualmente è indagato in quanto il suo racconto non ha convinto i magistrati; vi è il pesante sospetto che la lacerazione al suo giubbotto antiproiettile se la possa essere procurata lui stesso. “Per effettuare 93 arresti (80 dei quali non convalidati dall’autorità giudiziaria che ha disposto misure cautelari per uno solo dei rimanenti 13) ci sono stati 62 feriti, tre prognosi riservate, polmoni sfondati, arcate dentarie in frantumi e tanto, troppo sangue”. Questi dati vengono letti con matematica precisione da Carlo Gubitosa, segretario di PeaceLink e giornalista (sta scrivendo un libro sui fatti di Genova).
Sara è una ragazza e prende la parola per fare un appello: “A me piacerebbe sapere che ci sono dei poliziotti non violenti. E ci credo. Io quella sera mi stavo lavando i denti, ho visto la loro voglia di fare del male: ci godevano a picchiare. Se qui c’è qualche poliziotto che non è così, lo dica”.
La parola a questo punto passa ai poliziotti. E’ Rita Parisi, una poliziotta del Siulp di Bologna, che risponde a Sara: “Voglio rassicurarti. I poliziotti che stanno qui, come tanti altri, si sono vergognati di quello che è successo alla Diaz”. Aldo Tarascio, del Silp (Sindacato Italiano Lavoratori Polizia), ammette: “Genova non ha rappresentato un incidente di percorso, ma una linea di demarcazione. A 20 anni dalla smilitarizzazione del corpo di polizia, la parola d’ordine “prevenzione” è stata sostituita da un altro imperativo: “repressione”. E così la polizia si è trasformata da organo dello Stato in organo del Governo. O meglio, di uno o due partiti del Governo”. Un altro sindacalista del Silp, Francesco Carella, parla di “democrazia malata”. Il muro del silenzio a Genova per la prima volta, dopo un anno, si è rotto e alcuni poliziotti hanno parlato, dissociandosi da quanto è accaduto.
La mamma di Carlo Giuliani è intervenuta per ricordare ai poliziotti che disobbedire è possibile: “Avevo l’età di Carlo, ero nel Pci. Ad un picchetto di commesse della Standa un funzionario di Polizia con la fascia ordinò la carica. I poliziotti incrociarono le braccia. Sono 12 mesi che aspetto qualcuno con quel senso di umanità, che si alzi in piedi e denunci”. La mamma di Carlo Giuliani racconta di un funzionario in borghese che a Genova un anno fa chiamò un taxi per far fuggire dalle violenze della caserma di Bolzaneto tre ragazzi. “Gli chiesero: perché lo fai? Rispose: perché non sono d’accordo con quello che stanno facendo qui dentro i miei. Io aspetto che uno come lui abbia il coraggio di farsi avanti”. Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum interviene per dire: “Come è possibile che nessun poliziotto o carabiniere sia andato a raccontare e denunciare le violenze? Chi ha dato l’ordine?”
Carlo Gubitosa ricorda che le violenze hanno colpito anche giornalisti che stavano seguendo le vicende di Genova: “Dormivo quando mi hanno svegliato a manganellate. Un colpo mi ha scarnificato il braccio destro, scoprendo l’osso”, ha raccontato Lorenzo Guadagnucci, giornalista economico del quotidiano nazionale Carlino-Nazione-Giorno.
Ho avvertito il dovere di raccontare abbiamo organizzato con Altreconomia per dovere rispetto alla verità e per un’esigenza di dialogo con chi – fra i poliziotti – sente il bisogno di esprimere dissenso rispetto ad una violenza che è stata cieca e bestiale. Il confronto fra nonviolenti e poliziotti è un primo passo positivo e, aggiungerei, “liberatorio”. Abbiamo tenuto alto sopra ogni cosa il valore che ci guida: la lotta contro la violenza.
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