Welfare
Noi, costretti a vivere nel limbo dei non cittadini
A colloquio con Jean-Léonard Touadi, deputato di origine congolese
di Redazione

«Il nostro sistema giuridico non può
e non deve permettersi a lungo di lasciare che i figli degli immigrati
nati e cresciuti in Italia vivano
in un limbo fino all’età dei 18 anni, provocando un divario
tra la cittadinanza di fatto e quella
di diritto. Il concetto di cittadinanza
non può essere collegato ancora solamente
ad una matrice biologica»di Imane Barmaki
Mi è stato chiesto di raccontare un’altra comunità ma ho scelto di raccontare tutte le comunità tramite le difficoltà che vivo ogni giorno in prima persona assieme a moltissimi italiani di fatto, ma extracomunitari sulla carta. Ho deciso di fare un viaggio insieme ai lettori di «Yalla» nella galassia dell’immigrazione scegliendo anche di esprimermi tramite le parole di Jean-Léonard Touadi, deputato di origine congolese alla Camera dei deputati italiana. «La paura nei confronti del diverso rischia di trasformarsi in una scintilla in grado di scatenare odio, sfoghi verbali, calci, pugni. Chi è stato in questi ultimi anni il protagonista di questa costruzione sociale del “nemico”, spesso sfociata in episodi di violenza gratuita, deve assumersi la responsabilità di cambiare rotta nella comunicazione e nella pratica politica. E deve incominciare ad indicare al Paese un’altra strada: quella dell’accettazione della diversità come gesto automatico di una civiltà aperta», mi ha detto Touadi. Questo è un pensiero che condivido pienamente visto gli ultimi accadimenti che ci hanno scosso tutti, immigrati e non. Ho le lacrime agli occhi nel constatare che questo Paese fa fatica ad accettarci malgrado il fatto di essere una parte integrante e determinante del suo sistema economico, sociale e culturale. Rappresentiamo il 6% della popolazione che produce il 9,8% del Pil. «L’Italia» continua Touadi, «fa fatica ad accettare in generale il fenomeno dell’immigrazione come fatto strutturale e organico malgrado siano passati 30/35 anni dalla prima significativa ondata. È un problema di psicologia collettiva che continua a vedere l’immigrazione come un fatto temporaneo e transitorio e non come fatto strutturale».
Una legge da incubo
È di importanza fondamentale anche il problema della cittadinanza perché influisce sulle nostre identità. Ci sentiamo italiani di fatto perché siamo cittadini attivi e impegnati come tutti gli altri, mentre a livello burocratico non lo siamo! Personalmente, l’unico Paese che riconosco come veramente mio è l’Italia! Ancora Touadi: «Il nostro sistema giuridico non può e non deve permettersi a lungo di lasciare che i figli degli immigrati nati e cresciuti in Italia vivano in un limbo fino all’età dei 18 anni, provocando un divario tra la cittadinanza di fatto e quella di diritto. Dobbiamo comprendere che il concetto di cittadinanza non può essere collegato ancora solamente ad una matrice biologica».
La legge Bossi Fini! Beh, è semplicemente un incubo, un altro nodo da sciogliere e di cui non ne posso veramente più! A mio modesto avviso questa legge invece di combattere la clandestinità, la promuove. Legando l’immigrazione esclusivamente al lavoro, questa legge ha introdotto il sistema dei flussi immigratori e ha imposto la stipula del contratto di soggiorno. Quest’ultimo obbliga il datore di lavoro a garantire un alloggio al lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica e l’impegno al pagamento, da parte del datore di lavoro, delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza (garanzie comprensibili per chi deve ancora venire in Italia ma assurde per chi è già legalmente presente nel nostro Paese). Secondo Touadi «questa legge ha fallito nel regolamentare gli stessi flussi che ha introdotto. È una legge che di fatto non funziona. Non lo dicono solo gli immigrati ma tutti coloro che si occupano di questo tema senza necessariamente essere di sinistra. Ha bisogno di ritocchi poiché i flussi immigratori non riescono a favorire nemmeno l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro».
Tasse e attese
Passiamo all’ultimo nodo, anche se ce ne sono mille altri: cosa dire del sistema del rinnovo del permesso di soggiorno? Forse un semplice “no comment” è l’unica cosa che rende l’idea. A fronte di un costo effettivamente eccessivo, più di 72 euro a cui bisogna aggiungere anche la nuova tassa che fa lievitare il costo di ulteriori 50, il servizio è semplicemente scadente. Il permesso di soggiorno dura realmente meno di quello che è indicato sulla carta. Nel mio caso, il tempo di attesa per riceverlo è superiore alla durata effettiva dello stesso.
Al di là di tutte queste difficoltà mi rendo conto che un processo di legittimazione culturale è in atto all’interno del quale si inserisce anche «Yalla Italia», ma quello che mi preoccupa di più è questa ondata di razzismo e di paura nei confronti del diverso. Nonostante il pessimismo di questo articolo, ho ancora tanta fiducia nell’Italia e sono motivata nel rendere il mio futuro e quello di altre 2G migliore.
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