Welfare

Noi assistenti sociali in trincea, a Milano

Affidi: viaggio negli uffici del capoluogo lombardo

di Benedetta Verrini

Sui giornali finiamo sempre per i casi limite, dove l?assistente sociale è descritto come l?artefice di un drammatico allontanamento, magari raccontato dalla voce di un genitore che recrimina e dice che nessuno gli ha voluto dare una mano. Ma non è così. La nostra è, prima di tutto, una professione di aiuto, dove l?affido è il rimedio estremo dopo un attento tentativo di recupero». Maria Carbone, responsabile dell?ufficio Servizi per i minori del Comune di Milano, racconta come funziona il sistema affidi della più grande città del Nord. E respinge le polemiche sugli affidi ?troppo facili? denunciati da alcuni genitori e che quest?estate hanno fatto finire in prima pagina i servizi sociali assieme ai magistrati della Procura di Milano. In realtà, nella delicata fase di passaggio che i servizi sociali stanno vivendo, a un anno dall?entrata in vigore della legge 328, i neanche 100 assistenti sociali operativi presso il Comune di Milano sono come soldati in trincea. Nel 2000 hanno seguito 5.080 minori (e la cifra sale a 8mila se si aggiungono quelli seguiti dagli operatori della Provincia) nel settore affidi principalmente per situazioni segnalate dal Tribunale: casi di detenzione dei genitori; orfani; profughi. Un bel carico di lavoro, che si svolge senza limiti di durata: «È possibile che ci capiti di seguire un bambino anche fino al raggiungimento della maggiore età» dice la Carbone. L?efficacia della prevenzione Gli affidi realizzati a Milano, dal 1981 ad oggi, sono stati 1.872; quelli in atto ora 221. La maggior parte (69,2 per cento) è stata disposta con decreto del Tribunale dei minori; il 24,6 è stata volontari e il 6,2 consensuale. Appena la metà, il 51,4 per cento, è a tempo pieno; tutti gli altri sono giornalieri, per i fine settimana e le vacanze, per le emergenze. In questo momento, i bimbi in attesa di essere accolti in una famiglia sono circa 25 (alcuni vivono presso la famiglia d?origine, altri sono in comunità). Per loro, il Servizio affidi ha inventato la campagna AAA-Cerchiamo aiuto, accoglienza, amore: facile slogan per sensibilizzare nuove famiglie al percorso dell?affido, visto che il rapporto tra il numero dei bimbi in difficoltà e quello delle coppie disponibili è sempre in passivo. Ma prima di giungere a questa fase, cos?è successo prima? E come si arriva alla segnalazione di un caso? I servizi valutano con diversa cautela i canali: «La richiesta d?aiuto può arrivare direttamente della famiglia» spiega la Carbone, «ad esempio, da extracomunitari con problemi di esclusione sociale o difficoltà d?inserimento lavorativo; da una madre sola che non riesce a districarsi tra lavoro e bambino o anche solo da genitori preoccupati per un figlio adolescente troppo ribelle. In altri casi, più complessi, la segnalazione arriva direttamente dall?autorità giudiziaria (richiesta di indagine sociale o attuazione di un decreto). Infine, è possibile che giunga da altri servizi, dalle associazioni di volontariato, dalla scuola, da chi è vicino al nucleo familiare». L?assistente sociale che entra in una casa per stabilire un primo contatto può trovarsi di fronte a diverse situazioni: si va da semplici difficoltà educative, a gravi conflittualità di coppia, a inadeguatezza dei genitori provocata da malattie mentali o dipendenze, fino a situazioni di maltrattamento vero e proprio. «Anche nei casi più gravi si fa sempre il tentativo di recuperare il rapporto» sottolinea la Carbone. «Attraverso interventi di protezione, di supporto psicologico, di gestione dei conflitti è possibile ridare ai genitori gli strumenti per prendersi cura dei loro figli. Se questi tentativi non danno nessun risultato, allora è nostro dovere proteggere i minori e tutelarli da circuiti perversi. Spesso i maltrattamenti sono fatti da genitori che sono stati a loro volta maltrattati». In questo contesto, la prevenzione ha un?importanza eccezionale: «prima ci si rivolge ai servizi, prima si riesce a comporre il problema senza necessità di fare interventi impegnativi» dice la Carbone. Soluzioni a misura di bambino E quando la situazione è troppo deteriorata, incredibilmente, «sono i bambini a comprendere meglio di tutti il perché di un allontanamento» spiega Marilena Garea, responsabile del Coordinamento tecnico centrale affidi del Comune di Milano. «E, si badi, non hanno sempre bisogno di un allontanamento definitivo. Ogni affido viene progettato dai servizi, o su mandato della magistratura, sulla base delle specifiche esigenze di quel bambino». Ma chi sono le famiglie affidatarie? «Non sono supereroi» continua Garea. «Sono coppie con o senza figli e single che, dopo un percorso di orientamento con i servizi, decidono di accogliere un bambino o un adolescente e di accompagnarlo per un pezzo della sua vita». Durante l?affido le famiglie vengono supportate da incontri periodici con gli assistenti sociali e sostenute economicamente dal Comune (con un assegno mensile dalle 700mila al milione e mezzo di lire al mese), oltre a entrare in rete con le altre famiglie affidatarie: «Vivono ancora un isolamento profondo a livello sociale» dice la Garea. «Non sanno con chi confrontarsi, per questo noi stimoliamo l?incontro con altre coppie che stanno facendo lo stesso cammino e che possono dare suggerimenti utilissimi. A Milano sono estremamente sviluppate associazioni di supporto come Anfaa, Famiglie per l?accoglienza, Cam; in altre regioni associazioni come le Famiglie in rete». Una rete che potrebbe diventare modello di accoglienza, ma soprattutto rappresentare un modello di prevenzione all?esclusione sociale: «I servizi, da quelli sociali a quelli educativi, sanitari e psicologici devono ancora lavorare per costruire una rete attenta a cogliere i segnali di disagio» conclude Maria Carbone. «Per fare prevenzione e trovare risposte insieme con la comunità». Info: Servizio affidi Comune di Milano tel. 02.88463012/13 www.comune.milano.it


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