Famiglia

Noemi, questo piccolo grande non amore

È stato il fidanzato di 17 anni ad uccidere Noemi Durini, la sedicenne scomparsa in Puglia il 3 settembre scorso. Colpisce la giovanissima età dei protagonisti. Ma in Italia più di una ragazza su dieci ha vissuto esperienze di violenza nella coppia prima di compiere 18 anni: negli Usa la chiamano teen dating violence. È a questa violenza continua che dobbiamo porre attenzione, per evitare nuovi femminicidi

di Sara De Carli

Noemi aveva 16 anni soltanto. L’ha uccisa il suo fidanzato, che di anni ne ha appena uno in più, 17. Il ragazzo ha confessato l'omicidio e ha indicato ai carabinieri dove aveva nascosto il cadavere: in un prato, sotto un cumulo di pietre di un muretto a secco. Forse Noemi l’ha uccisa proprio a colpi di pietra. Quello che colpisce dell’ultimo caso di femminicidio in Italia è proprio la giovanissima età dei protagonisti. In realtà le storie di amore fra adolescenti sono permeate dalla violenza più di quanto si pensi: più di una ragazza su dieci ha vissuto esperienze di violenza nella coppia prima di compiere 18 anni. A dirlo è una ricerca condotta in Friuli Venezia Giulia, una delle poche esistenti in Italia, su oltre settecento ragazzi e ragazze. Il 16% delle intervistate (e l’8% dei maschi) ha subito gravi e ripetute violenze psicologiche o persistenti comportamenti di dominazione e controllo; il 14% delle ragazze (e l’8% dei ragazzi) ha subito violenze o molestie sessuali; più di un adolescente su 10 (senza differenze di sesso) ha subito violenze fisiche in coppia. «È successo tutto così in fretta», racconta ad esempio Claudia, «all'inizio mi sembrava una favola. Lui era amico di mio fratello, tre anni più grande di me. Credevo che nemmeno mi vedesse. E invece un giorno mi ha chiesto di andare al cinema. La serata più bella della mia vita. Tutto il tempo abbracciati, primo bacio. Dal giorno dopo ha iniziato a chiamarmi mille volte al giorno. Io ero così contenta. Abbiamo iniziato ad uscire sempre da soli. Mi diceva che non avevamo bisogno di nessun altro. E io all'inizio credevo avesse ragione lui. Mi faceva sentire come una principessa. Ma poi ho cominciato a sentire il desiderio di avere spazi miei. Poter parlare con le amiche senza averlo sempre vicino. Lui sembrava proprio non sentire quello che gli dicevo. Sembrava che più gli dicevo di lasciarmi un po' di spazio, più lui stringeva ancora di più il cerchio attorno a me. Ha iniziato a mettere brutte voci su di me in giro e così ho perso diversi amici. Faceva di tutto per non permettermi di stare con qualcun altro che non fosse lui e per evitare che potessi incontrare persone nuove. Ha iniziato a scegliere con me cosa potevo mettermi e cosa invece no. All'inizio mi sembrava carino che venisse in giro con me a comprare vestiti, ma poi ha cominciato a sceglierli lui per me, io non potevo metterci bocca. Ho iniziato a sentirmi sempre peggio». A curare quella ricerca è stata Lucia Beltramini, psicologo e docente a contratto dell’Università di Trieste, che al Convegno Erickson “Affrontare la violenza sulle donne” in programma a Rimini il 13 e 14 ottobre prossimi terrà un workshop dal titolo “Pensavo fosse amore. La violenza nelle giovani coppie”. Sulla rivista “Lavoro Sociale”, nel febbraio 2017, ha presentato le sue riflessioni sul tema.

Noemi era così giovane…
Questo dato ci colpisce molto, sono così “piccoli”, ma in realtà la letteratura internazionale e chi lavora con ragazzi e ragazze sa che la violenza accade quotidianamente. Non il femminicidio, per fortuna, ma quello è solo la punta dell’iceberg. Invece di violenza sulle donne e nelle relazioni di coppia in Italia si parla poco e solo in concomitanza con fatti di cronaca terribili: quello che serve invece sarebbe parlare della continuità della violenza che le ragazze vivono nelle loro relazioni di coppia. Il caso di Noemi è uno di questi, c’erano comportamenti violenti nella coppia, lei l’aveva scritto su Facebook. La ricerca che abbiamo svolto dice che in una coppia su dieci, tra ragazzi di diciotto anni, c’è violenza fisica: considerando altre forme di violenza quella psicologica, i comportamenti di controllo, le pressioni per il rapporto sessuale… i dati aumentano e vanno nella stessa direzione di quelli dei Paesi del Nord America, che fanno ricerca da più tempo, hanno coniato l’espressione «teen dating violence», che significa «violenza da appuntamento tra adolescenti» e parlano di un 10-25% di ragazze adolescenti che subiscono violenza nella coppia. Fra l’altro noi abbiamo lavorato con un gruppo di settecento diciottenni, ma uno studio più recente, che ha indagato i comportamenti delle coppie ancora più giovani ha visto che già a quell’età ci sono comportamenti violenti, controllo costante, violenza psicologica e violenza fisica.

Nei focus group tutti condannavano la violenza come una cosa orribile, ma poi molti ammettevano di fare o subire determinati comportamenti, senza riconoscerli come violenza.

Cosa vivono gli adolescenti nella relazione di coppia?
Comportamenti di «dominazione e controllo» come telefonare continuamente all’altra persona, impedirle di uscire da sola o con altri, il voler sapere continuamente cosa fa e con chi (oggi abbiamo strumenti che hanno amplificato moltissimo la possibilità di controllo); la violenza psicologica con insulti, prese in giro, umiliazioni anche in pubblico, minacce; violenza fisica, schiaffi, pugni, calci, aggressioni e sessuale, con pressioni per avere rapporti sessuali, imposizione dell’uso o meno di un determinato contraccettivo, stupro o tentato stupro). Il problema è che non sempre tali atti sono riconosciuti come violenza: nei focus group tutti condannavano la violenza come una cosa orribile, ma poi molti ammettevano di fare o subire determinati comportamenti, senza riconoscerli come violenza. Ad esempio comportamenti di dominazione e controllo possono essere scambiati per segni di interessamento e amore («Non vuole che parli con altri perché sono sua, ci tiene a me»), la violenza fisica può essere minimizzata («Mi ha colpita solo perché era nervoso»); le pressioni sessuali possono non essere riconosciute come tali («Se non gli dico di sì mi lascia»). Per questo è cruciale un intervento precoce, altrimenti il rischio è che i ragazzi facciano proprio questo modello di relazione di coppia improntato all’esercizio del dominio sull’altro, che potrebbe riprodursi anche nelle future relazioni adulte. Dopo il femminicidio si può fare poco o nulla, bisogna intervenire prima: è prima che si può lavorare e anche lavorare molto.

Quali sono i motivi per cui i nostri adolescenti vivono relazioni d’amore così malate?
Delle cause certe non ci sono, ci sono tanti fattori di rischio, a diversi livelli. A livello individuale un bambino maschio che da piccolo ha assistito a violenza sulla mamma (lo studio italiano dice che circa un ragazzo/a su dieci ha visto il padre picchiare la madre e quasi un adolescente su cinque ha assistito a gravi violenze psicologiche sulla madre) o l’ha subita, ha un rischio aumentato di diventare a sua volta un uomo violento, non è detto perché al contrario potrebbe diventare una persona molto impegnata a contrastare la violenza, ma è un fattore di rischio. Un ragazzino che vive in un ambiente di soli amici maschi, dove le ragazze sono considerate come oggetti sessuali o svalutate, avrà un rischio aumentato e naturalmente a livello macro il vivere in un contesto culturale dove i mass media presentano costantemente una immagine di donna oggettivata è un fattore di rischio.

Che cosa si può fare?
Educare al rispetto di genere, fin da piccolissimi. La violenza trova le sue radici nella cultura, che porta avanti l’idea di una disparità di poteri fra uomo e donna. Bisogna lavorare molto sul contrasto agli stereotipi di genere, perché quanto più gli stereotipi sono diffusi tanto più io li vivo come dati di fatto, va bene che il maschio sia geloso e che la ragazza sia sottomessa: gli stereotipi di genere sono il presupposto culturale della violenza. È uno sforzo grande perché siamo bombardati da questi stereotipi. E non dimentichiamo, come genitori e come educatori, la forza dell’esempio: se i bambini crescono in un contesto famigliare più paritario e rispettoso questo è un grosso fattore protettivo. L’altro aspetto fondamentale è intervenire e non soprassedere o minimizzare gli eventuali episodi di violenza di cui venissimo a conoscenza: come adulti siamo chiamati ad agire. I ragazzi raramente chiedono aiuto in maniera diretta: vergogna, senso di colpa, timore di non essere creduti, confusione per i sentimenti provati, autocolpevolizzazione possono indurre al silenzio, è possibile che tentino di far emergere la loro sofferenza in altri modi, anche a livello di salute.

Uno degli esiti della vostra ricerca sono il sito e la pagina Facebook “No alla violenza, scelgo il rispetto”, con informazioni su dove chiedere aiuto ma anche strumenti per la prevenzione.
Esatto, volevamo dare una risorsa sia a chi vive la violenza sia a chi non la vive, per poterne parlare: è uno strumento di prevenzione primaria e secondaria, sulla violenza nelle giovani coppie ma anche sulla violenza in famiglia, nella ricerca è emerso l’8% degli adolescenti ha subito una violenza fisica dal papà. La cosa bella è che tutte le risorse sono state costruite con gli adolescenti, abbiamo messo a punto una prima versione del sito che è stata testata con i ragazzi e quello online è il frutto del lavoro con loro. I materiali sono a disposizione di chiunque voglia affrontare questi temi con gli adolescenti.

Photo by Loic Djim on Unsplash

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