Welfare

Nocetum, due suore e un trampolino

Accoglienza e porte aperte agli stranieri. E al teleriscaldamento...

di Riccardo Bonacina

Che due suore si occupino di rom, non sorprende. Meno scontato è che le stesse due suore siano tra i promotori di un progetto di teleriscaldamento, che riguarda la periferia di Milano, tra Corvetto e Chiaravalle. A due passi da qui c'è il depuratore comunale, con i suoi fanghi di scarto. Su queste strade che si perdono nelle sterpaglie, là dove fino a settembre 2007 sorgeva il campo rom di via San Dionigi, potrebbe esserci un via vai ininterrotto di mezzi pesanti, che i fanghi li prendono e li buttano. Invece l'idea è di bruciare i fanghi, trasformandoli in risorsa: con il calore prodotto, si andranno a riscaldare le due case di riposo, le scuole, i palazzi Aler del quartiere e anche la comunità Nocetum, dove suor Ancilla e suor Gloria vivono. Bonificare, una cosa che i monaci hanno sempre fatto: nel XXI secolo, il verbo si declina anche così.


La comunità Nocetum nasce negli anni 80 attorno a un'antica chiesetta abbandonata: suor Ancilla Beretta, brianzola con un passato da preside, cerca un luogo per la preghiera. Gloria Mari, geologa e giornalista, si unisce a lei qualche anno dopo. La leggenda vuole che suor Ancilla abbia occupato la vecchia cascina accanto alla chiesa, ritrovo della malavita del quartiere: la bonifica inizia così. Oggi la cascina – data all'associazione Nocetum nel 2000 – è stata completamente ristrutturata, ricavando cinque mini alloggi per accogliere famiglie in difficoltà e alcune stanze per ragazze madri. In più, due stanze riservate a famiglie rom. In cortile, tra i galli che cantano e il profumo di un fritto dolciastro, insieme a Gloria e Ancilla siedono una famiglia pakistana, una bulgara, una dell'Iraq, una ragazza russa e una marocchina, tutti con i loro bambini.

Vita: Cosa caratterizza la vostra accoglienza?
Gloria Mari
: Innanzitutto l'aver puntato sulle famiglie con figli piccoli. Lo straniero a Milano trova accoglienza, i servizi ci sono, però la mamma da una parte, il papà da un'altra e il bambino o in una comunità per minori o, dormitorio compiacente, con la mamma. E la famiglia divisa fa più fatica: anche poter cucinare i propri cibi tradizionali, gestirsi gli spazi, avere le chiavi, è un aiuto. L'obiettivo è non essere stranieri là dove si è accolti, ma un po' abitanti di questo luogo. In seconda battuta, noi non siamo arrivati con l'idea di fare accoglienza, è stato il luogo stesso che ha spinto in qualche modo perché nascesse un'accoglienza di questo tipo. Un luogo semplice, nella natura, una antica cascina, senza barriere fisiche, poche famiglie? si crea una forte connotazione familiare, dove noi viviamo insieme a loro, cosa che normalmente è difficile trovare nelle realtà che fanno accoglienza in modo istituzionale.

Vita: È l'idea che gli architetti del Multiplicity.lab hanno lanciato per l'Expo?
Gloria
: Sì, c'è questa idea di utilizzare le cascine di proprietà del Comune per fare un'accoglienza intelligente di persone in difficoltà ma anche di un turismo con un'impronta sociale. Quelli del Politecnico sono rimasti stupiti dell'esperienza fatta qua. «Senza saperlo, voi siete la nostra idea già in atto», ci hanno detto.


Vita: Oltre alla ristrutturazione fisica che avete fatto in questi anni, c'è anche una ristrutturazione del tessuto sociale? Cosa vede guardandosi indietro?
Ancilla Beretta: In quattro anni abbiamo ospitato 40 famiglie. Il 90% è uscito per andare in una situazione migliore di quella che ha trovato qui: Nocetum è un trampolino di lancio. C'è stato un progetto per ogni famiglia, ognuno con i suoi tempi di preparazione e di attesa: la famiglia ha bisogno di trovare un sua collocazione nel tessuto sociale italiano, e noi la accompagnamo fino a lì. Per esempio, una famiglia rom del campo di San Dionigi, dopo lo sgombero di settembre è rimasta con noi e ora sta per accendere un mutuo e comprar casa.


Vita: Perché solo due appartamenti per i rom e non di più?
Ancilla
: Perché siamo per l'integrazione dei rom, non per i ghetti. Anche prima, quando c'era il campo, il nostro lavoro è stato più sulle persone che sulla struttura. Abbiamo dato fiducia alle persone, noi abbiamo tenuto le porte aperte e loro hanno dimostrato di sapere di aver bisogno di essere aiutati. Si sono appoggiati in modo giusto sull'aiuto dell'altro e questo li ha inseriti molto nel tessuto sociale del quartiere, è stato dentro questo andare per chiedere aiuto che hanno accettato le regole. L'incendio del campo, nel 2005, ha segnato davvero uno spartiacque tra un prima e un dopo: prima erano un campo chiuso, diffidente, un ghetto, poi anche loro sono diventati abitanti del quartiere.


Vita: Qual è il valore aggiunto, l'elemento innovativo?
Gloria
: L'aver risanato un luogo nella periferia della città, in un quartiere potenzialmente disagiato. La prima cosa è stata la messa in rete di tutte le associazioni che operano sul territorio, sia nella tutela dell'ambiente sia in ambito sociale: l'idea dell'utilizzo del teleriscaldamento nasce da un'associazione ambientalista, Greem. E poi c'è il parco, costruito a compensazione della realizzazione del depuratore: noi e altre associazioni facciamo diverse attività di animazione e valorizzazione di questo territorio. Bonificando questa cascina sono partite a catena una serie di buone pratiche, di altre bonifiche.

Vita: Quanto conta il fatto che voi spendiate la vostra vita qua?
Gloria
: Credo al 99%.
Ancilla: È stata una scelta pensata e prima ancora pregata. Una scelta di vita, perché la preghiera deve diventare sociale, deve essere di aiuto all'uomo di oggi. Se no, non è.


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