Cinema
“No Other Land”, la non violenza di palestinesi e israeliani è da nomination all’Oscar
Anni di girato sulla vita del giovane Basel Adra nato e cresciuto in un villaggio della Cisgiordania e di quella del giornalista israeliano Yuval Abraham. Una regia a doppia firma un docufilm inserito anche nella categoria "Miglior Documentario" alla 97ª edizione degli Academy Awards
No Other Land è più di un documentario: è un manifesto, una lezione di resilienza e pacifismo. Racconta le evacuazioni forzate e le demolizioni delle case di un villaggio palestinese in Cisgiordania, Masafer Yatta, da parte delle forze di difesa israeliane – Idf, che intendono utilizzare l’area come zona d’addestramento militare. Ma racconta, soprattutto, la lotta nonviolenta delle famiglie che da secoli abitano queste terre e qui hanno costruito le loro case e le loro vite.
Mostra la tenacia con cui uomini, donne e bambini – tante donne, tanti bambini – cercano di difendere ciò che è loro, armati solo della loro determinazione, del coraggio e dello sguardo che puntano negli occhi dei militari, della voce con cui chiedono loro di immedesimarsi, cercando di suscitare empatia, comprensione, partecipazione: «E se ci fossi tu al posto mio?», domanda una donna, mentre una bimba bionda si nasconde dietro le sue gambe.
Il documentario
Il documentario è uscito nel 2024, ma le immagini sono state girate nell’arco di oltre 20 anni, grazie all’impegno e alla tenacia di Basel Adra, un giovane nato e cresciuto da una famiglia di attivisti del villaggio. A tratti, la narrazione infatti fa un salto indietro e racconta gli anni dell’infanzia di Basel, l’impegno del padre e della madre, la faticosa e instancabile lotta per i diritti della loro gente e in difesa delle loro terre.
Ma racconta anche le gite, i momenti di festa e di allegria e una quotidianità leggera e spensierata che è sempre e ovunque possibile. Sono immagini preziose, che raccontano di un attivismo politico non violento, che nasce dall’attaccamento alla propria terra e alla propria storia.
Le immagini, le storie
E poi ci sono le immagini che Basel stesso ha raccolto, giorno dopo giorno, anno dopo anno, dal 2019 al 2023, per documentare ciò che su queste terre continua ad accadere, con le ruspe che arrivano, senza preavviso, preferibilmente di notte, a demolire case, senza riuscire però a cancellare storie. Immagini preziose anche queste, che vien da chiedersi come sia stato possibile girare, tra il frastuono dei crolli, la polvere delle macerie, le minacce dei militari e gli spari che ogni tanto colpiscono e feriscono.
Ma la videocamera – o a volte solo il cellulare – sembra non volersi spegnere mai: continua a filmare anche quando un soldato urla e si avvicina minaccioso e ancora mentre chi la impugna sta fuggendo da un inseguimento, per cercare un posto in cui mettersi in salvo.
Attivisti israeliani e palestinesi
Ad accompagnare Basel in questo instancabile lavoro di testimonianza e resistenza, c’è il giornalista israeliano Yuval Abraham, che vive una vita completamente diversa dalla sua, a mezz’ora di strada dal suo villaggio.
Yuval Abraham firma con Basel Adra la regia del documentario, realizzato insieme ad altri due attivisti, Rachel Szor (israeliana) e Hamdan Ballal (palestinese). Grazie a questo piccolo collettivo di cineasti e giornalisti israeliani e palestinesi, le immagini filmate sono tante e diverse la angolazioni: i quattro riescono a riprendere anche momenti e scene di profonda drammaticità, come il ferimento di Ahed Tamimi, un giovane del villaggio e la disperazione di sua madre, che da quel giorno lo accudirà e cercherà di non fargli mancare niente, anche se non hanno più nemmeno una casa: quasi una Madonna che veglia il figlio in una grotta.
A testimonianza che la disabilità, in questi contesti, è una condizione reale e diffusa: e che i caregiver familiari, qui, devono fare “miracoli”, per non arrendersi al dolore e all’impotenza. Fino all’ultimo giorno, che per Ahed arriva presto, a causa delle ferite riportate: il film si chiude proprio con la dedica alla sua memoria.
Una convivenza difficile, possibile, fertile
I volti di chi esce dalla sala sono assorti, turbati: il documentario è un’esperienza immersiva, grazie alla potenza delle immagini e al gran lavoro di montaggio, ma grazie soprattutto alla vicinanza che i protagonisti suscitano, rendendo lo spettatore inevitabilmente partecipe degli eventi, della paura, della rabbia. La narrazione alterna con sapienza momenti di azione e concitazione ad altri di più intima riflessione, dove protagonisti e autori del documentario riflettono si confrontano in un interscambio continuo tra essere registi e attori protagonisti: veri interpreti di una dura e complicata realtà, difficile da vivere soltanto.
Quando le famiglie protestano in strada, armati di palloncini neri, minacciati da coloni e militari armati, non si può non essere lì con loro. Al tempo stesso, però, se è vero che nella storia che viene raccontata inevitabilmente ci sono i “buoni” e i “cattivi”, la contrapposizione e anche la guerra non sono il tema centrale del film: al centro c’è piuttosto la ricerca della giustizia sociale, della pace e di una convivenza difficile ma possibile, che può dare buoni frutti, come quella tra Basel e Yuval.
La ricerca di un punto d’incontro
Quest’ultimo viene accolto all’interno del villaggio, quasi ne diventa parte: ma con grande franchezza c’è chi gli fa notare – Basel per primo – che lui potrà tornare a casa, a fine giornata, per farsi una doccia, mentre «io da qui non posso andarmene»: o che un suo parente, o un suo amico, potrebbe essere tra coloro che stanno demolendo le case del villaggio.
Ma anche nella distanza che a volte emerge con evidenza, tutto diventa dialogo, confronto, ricerca di un punto d’incontro: nell’urgenza di resistere, di ricostruire, di non arrendersi, si riesce così a lottare lavorare insieme. Perché i buoni e i cattivi, a ben vedere, non esistono: ciascuno sceglie ogni giorno da che parte stare.
Gli assenti
Sarà per questo che nel film ci sono grandi assenti: Hamas, Netanyahu, la guerra a Gaza e l’estremismo dell’una e l’altra parte. La giustizia sociale, questa sì, è al centro della narrazione, insieme alla possibilità di ricercarla e costruirla pacificamente, con la costanza e la tenacia di chi – come Basel – ritrova l’energia ogni volta che dice di averla persa.
Premi e nomination
Il documentario ha ricevuto prestigiosi premi in festival internazionali, tra cui il Festival di Berlino, dove è stato presentato in anteprima a febbraio 2024, alla presenza dei due registi. Successivamente, ha ottenuto riconoscimenti dal New York Film Critics Circle e dalla National Society of Film Critics.
“No Other Land” è stato ufficialmente inserito nella lista delle nomination finali agli Oscar 2025, annunciata il 17 gennaio. Il documentario concorrerà nella categoria Miglior Documentario durante la 97ª edizione degli Academy Awards, che si terrà il 2 marzo.
Dal 16 gennaio, il film è arrivato in alcune sale italiane (qui la lista aggiornata), distribuito da Wanted Cinema, raccontando una pagina di storia più e meno recente, che si snoda in una delle terre più incandescenti dei nostri tempi.
Attendendo “From Ground Zero”
Ora non resta che attendere la distribuzione di un altro documentario, che ci porterà stavolta proprio nella striscia di Gaza: “From Ground Zero”, distribuito da US WaterMelon di Chicago e in Italia da Revolver Film.
Un documentario corale anche questo, più ancora dell’altro, frutto del lavoro di 22 giovani registi, in questo caso tutti palestinesi, tra 19 e 28 anni, guidati e coordinati dal regista palestinese Rashid Masharawi, fondatore tra l’altro del Masharawi Film Fund, che ha sostenuto e reso possibile la realizzazione del film.
Avere la possibilità, grazie a questi film, di leggere la Storia, raccontata da chi l’ha vissuta e la vive in prima persona e prova a scioglierne i nodi con la parola, le immagini e l’arte, è un privilegio a cui non dovremmo rinunciare.
Le immagini del film sono da ufficio stampa
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