Non profit
No global: viaggio nei Social forum un anno dopo il G8
Dopo il flop di liste e cortei Il movimento è immobile. Il commento di Luigi Bobba
“Voi G8, noi 6 miliardi”, 6 miliardi scritto a numero, con tutti gli zeri in fila, così faceva più impressione. Era uno degli striscioni che aprivano i cortei del Genova social forum, un anno fa. Città di Genova, 20, 21 e 22 luglio 2001. È passato quasi un anno, ma sembra un?eternità. Un ragazzo è morto, innanzi tutto. Si chiamava Carlo Giuliani, aveva 23 anni, era di Genova.
Sono usciti diversi film su quelle giornate, già storia, stile battaglia di Alamo. Libri ?no logo? poi, ne sono usciti a profusione. L?importante è testimoniare. E ancora più importante, per il movimento, in questo anno, è stato andare in piazza. Mostrare i muscoli. Dopo l?11 settembre. Contro i bombardamenti in Afghanistan. Per i diritti dei palestinesi a una patria. Comunque in piazza.
A volte con numeri buoni, anzi: eccellenti. Come in quel novembre romano quando no global e ?foglianti? (al seguito, cioè, di Giuliano Ferrara) misero in scena la guerra delle bandiere: filo terzomondisti contro filo Usa. Vinse il Terzo mondo 3 a 1. Oppure in occasione della prima e poi della seconda Marcia per la pace, la storica Perugia-Assisi. In altre, la prova di forza è andata molto meno bene, specie di recente. A contestare il vertice Nato di Pratica di Mare, ad esempio, erano più o meno in due e al recente contro-vertice Fao i 50mila manifestanti dichiarati dagli organizzatori erano più che altro nei sogni della vigilia. In piazza, a essere buoni, ci saranno state 10mila persone. Certo, l?estate a Roma, l?Italia ai Mondiali? Ermete Realacci (Legambiente) la bolla come «logica perversa dell?assemblea-corteo-assemblea», Luca De Fraia (coalizione Sdebitarsi) ce l?ha in particolare con la lettera dei Disobbedienti, scritta subito dopo Porto Alegre come un romanzo di Luther Blisset mal digerito: «astrusa e ideologica». Sergio Segio, fondatore dell?agenzia di stampa Testimoni di Genova e promotore di un forum tra alcuni dei protagonisti di Genova (escluso Agnoletto) pubblicato sulle colonne di Repubblica, la chiama la «sindrome da intergruppi». Una pratica politica che andava di moda negli anni 70 e obbligava (sorta di manuale Cencelli dell?estrema sinistra) a mediare con ogni partitino e leaderino.
Del resto, uno dei problemi sorti dopo Genova è stato proprio quello della leadership: all?interno del subito discioltosi Gsf e del mai nato Italy social forum, molti non hanno riconosciuto quella di Vittorio Agnoletto, che del movimento era stato la figura più rappresentativa e che oggi non può nemmeno andare a mangiare un felafél nel ghetto ebraico del Portico d?Ottavia liberamente. Persino Luca Casarini, leader delle Tute bianche, ha subito dure contestazioni, nell?area dei centri sociali, per la gestione della piazza in quei giorni e ha da poco subito il colpo d?immagine più duro con la sonora batosta elettorale delle liste no global alle recenti elezioni amministrative. Solo a Genova, guarda caso, è andata bene, con l?elezione di due consiglieri comunali indipendenti, uno nelle liste dei Ds, Massimiliano Morettini dell?Arci, e un?altra nelle lista del Prc, Laura Tartarini (avvocato del Gsf) mentre Laura Testoni, che alla Diaz c?era e ancora se lo ricorda, è stata eletta in circoscrizione, anche lei in lista Prc. Daniele Farina, storico portavoce del Leoncavallo ed eletto in tempi non sospetti al consiglio comunale di Milano grazie ai voti di Rifondazione, non ha dubbi: «I media devono abituarsi a un?idea diversa della rappresentanza».
Già, ma quale? L?area cattolica di base, quella che gravita intorno alla rete Lilliput e che ha come punto di riferimento padre Alex Zanotelli, da poco rientrato in Italia e da tempo molto critico per la piega che il presunto movimento dei movimenti andava prendendo, ha le idee chiare: «Tornare a fare società e abbandonare il politicismo». Prossimi appuntamenti: una tre giorni bolognese per discutere lo stato dell?arte, i tre giorni a Genova e l?appuntamento cruciale di Firenze, quando la città toscana ospiterà il Forum sociale europeo, previsto a novembre. Nel frattempo, sono naufragati o nati morti i vari Social forum locali: alcuni fatti di gente per bene e pieni di buona volontà, altri una sorta di ?supersinistra? locale in versione radical e bertinottiana. Un Social forum è nato anche in Molise: andrà a Genova. Dentro ci sono Prc, Pdci e Ds. Basterà?
Luigi Bobba, leader new global: “È dura parlare con chi non si fa capire”
Luigi Bobba ha la virtù del buon cristiano: quella di dire sì sì, no no. A questo movimento no global che usa questi metodi, questi linguaggi e queste parole, dice no. Un no secco, tondo.
Vita: L?ultimo corteo, quello contro la Fao, è stato un flop: la spinta no global si è esaurita?
Luigi Bobba: La formula del corteo, quando viene assolutizzata al solo scopo di essere visibili, è sbagliata. Il che non vuol dire negare il diritto-dovere di scendere in piazza quando i motivi sono giusti e validi. Ma la piazza non può sostituire la proposta, il dialogo, la dimensione volontaria dell?agire politico. Inseguire, cercando di cavalcarli, temi fondamentali come quello ambientale o la fame nel mondo è un errore gigantesco, madornale.
Vita: Le liste no global, alle recenti elezioni amministrative, hanno raccolto lo ?zerovirgola?…
Bobba: Cercare una trasformazione immediata di un movimento sociale in un movimento politico non solo non porta frutti immediati, ma produce conseguenze negative sul lungo termine. Senza dire della mancanza di una radicata cultura delle istituzioni, dell?accentramento della leadership in poche figure. L?incapacità di offrire risposte praticabili ai bisogni concreti della gente ha poi fatto il resto. Inoltre, va detto che alle elezioni in un sistema maggioritario come il nostro scatta giustamente la logica del ?voto utile?. Quello per le liste no global, comunque, sarebbe stato un voto inutile.
Vita: Un anno fa vi siete incontrati a Genova. E poi separati. Possibilità di riannodare un dialogo?
Bobba: Nel cosiddetto movimento no global vi è un eccesso di ideologismo, di logica e linguaggi retrò, rispetto ai problemi del presente, che non mi pare un buon viatico per riprendere il dialogo. La lettera del movimento, scritta e spedita da Porto Alegre, l?ho letta tutta: è astrusa, incomprensibile. Parlano a uno stretto circuito di aficionados, ormai, i no global. E alcuni di questi pochi aficionados sono in mano a pochissimi leader che di questo movimento si sentono i padri-padroni. Per tornare a dialogare con noi, che ci definiamo new global, i no global dovrebbero fare scelte chiare e nette non su temi che diamo per scontati, come la nonviolenza, ma le forme e le pratiche della partecipazione, sui metodi e sui linguaggi. Chiediamo capacità di proposta, più che di dialogo.
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