Volontariato
«No, gli indonesiani non resteranno soli»
Il vecchio dittatore si è fatto da parte, ma i nuovi governanti non promettono niente di buono.
Il fumo non sale più, come lo scorso anno, dalle foreste che, bruciando, oscuravano il cielo e appestavano l?aria dell?Indonesia. Ma l?incendio stavolta, è ben più grave. Dopo gli scontri degli studenti con un esercito cerbero, le fiamme hanno divorato case e negozi carbonizzando uomini e donne. Un regime, quello del generale Suharto, che con le dimissioni del vecchio dittatore è apparentemente giunto al capolinea, dopo tre decenni di potere assoluto. La stampa internazionale ha paragonato la sua famiglia a una piovra arricchitasi di 40 miliardi di dollari americani alle spalle di un popolo oggi disperato. E intanto in un anno gli indonesiani disoccupati sono aumentati da 2 a 8 milioni , mentre stime della Banca mondiale già prospettano la cifra di 10 milioni, il 5% della popolazione. Ogni minoranza, non solo i commercianti cinesi, è in pericolo. Si ricordi, inffatti, che il Nobel per la pace 1996 toccò a Carlos Felipe Ximenes Belo, vescovo salesiano Timor Est, l?isola da più di vent?anni occupata con la forza dagli indonesiani.
Gli stranieri abbandonano l?arcipelago. Ma qualcuno resta. Come l?associazione ?Noi per loro? (Anl), ong dei padri salesiani che si occupa dei giovani indonesiani gestendo centri sociali in diverse città; sull?esempio di Don Bosco, offre a bambini e adolescenti istruzione di base e formazione professionale. Come già in Ruanda, Liberia e Sierra Leone, i salesiani, che in Indonesia contano tre sacerdoti e 32 novizi, non se ne vanno: restano a Giacarta, Dili, Baukau, Laga, Fultoro, Lospatos, Fatumaka e Veninale. «Si vive una situazione complessa», commenta da Torino Daniela Bertolusso. «Il cittadino ?medio? dell?Indonesia in realtà sopravvive da tempo. Anzi, ormai è abituato alla povertà estrema. Il nostro delegato ispettoriale per l?Indonesia, padre Josè Carbonel, è preoccupato soprattutto del balzo in avanti che l?integralismo musulmano sta compiendo cavalcando il caos. L?estremismo domina ormai l?Indonesia. E questo preoccupa».
Da Bologna, ecco la vice-responsabile del settore progetti dell?AiFo, ?Associazione italiana Amici di Raoul Follereau?, Monica Tassoni: «In questi giorni terribili per l?Indonesia il filo diretto con la coordinatrice dei nostri programmi è rovente». Francesca Ortali, 35 anni, si trova nelI?isola di Sulawesi dove, al momento, la popolazione resta tranquilla; cura un progetto di riabilitazione per disabili in zone di campagna, iniziativa per cui l?AiFo gode dell’appoggio del ministero della Sanità indonesiano. «Sinora non è stato facile fare il volontario in Indonesia né lo sarà in futuro. Nei rapporti che ci ha inviato, Francesca ha sempre denunciato la paura che gli indonesiani hanno di esprimere proprie idee. I volontari Aifo si sono più volte trovati di fronte a persone che li ringraziavano per averle stimolate a maturare proprie opinioni. Sembra incredibile ma la realtà è questa. Molti ci dicono semplicemente: vogliamo imparare. Credo che solo gli studenti possano far uscire l?Indonesia dal baratro». Cosa farà adesso la vostra volontaria? «Nonostante abbia ricevuto da Giacarta l?invito dell?ambasciata italiana ad andarsene», conclude la Tassoni, «Francesca vuol restare. In questi giorni sta lavorando nel distretto di Pomona».
Il collasso indonesiano non stupisce i volontari del Gruppo Abele di Torino: loro, l?avevano ampiamente preventivato. «Era inevitabile che una società tanto corrotta finisse così», commenta Carla Martino, responsabile delle ?Edizioni Gruppo Abele?. «Pedofilia e turismo sessuale hanno portato in milioni di dollari e migliaia di occidentali, grazie alla connivenza della classe dirigente con il potente racket che rapisce i bambini. Un discorso che continua a valere pure riguardo al lavoro minorile». ?
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.