Economia

No etica, no party. Care Borse, adeguatevi

La svolta di Aviva, un colosso del risparmio

di Christian Benna

Una lettera scritta a tutte le piazze affari del pianeta. Chiede garanzie sulla responsabilità sociale delle società ammesse alla quotazione. Sul piatto 588 miliardi di dollari No Csr, No party. Niente festa in Borsa per le imprese socialmente irresponsabili, per chi brinda alla speculazione e alle logiche di profitto di breve termine. Al carnet di inviti prossimo futuro ci pensa Aviva Investors, la società di gestione di risparmio Aviva, il sesto gruppo assicurativo mondiale, che, preoccupato dell’andazzo della finanza internazionale, ha deciso di fare sentire il proprio peso facendo pressione sulle principali piazze affari del pianeta. I vertici di Aviva, che amministrano qualcosa come 558 miliardi di dollari, hanno preso carta e penna, e hanno scritto ai board delle Borse, esortandoli a fissare dei paletti per la quotazione in Borsa delle imprese. Una sorta di lasciapassare etico, per far entrare le aziende con buone performance in responsabilità sociale e lasciar fuori quelle che invece ne sono sprovviste.
La carica degli investitori responsabili, scottati dal disastro Bp e dagli “strafighi della finanza”, per dirla con le parole dell’ad di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, non si ferma qui. Aviva promette di portare con sé nuovi sostenitori, almeno tutti quelli che hanno raccolto l’invito ad agire, il call for action, lanciato lo scorso anno dalla stessa Aviva che si basa sui Principi di investimento responsabile (Pri) delle Nazioni Unite. «In quanto investitori di lungo termine, riteniamo che integrare fattori ambientali, sociali e di governance nelle strategie aziendali possa accrescere il valore per gli azionisti», afferma Paul Abberley, ceo di Aviva Investors London. «Crediamo, inoltre, che le Borse possano giocare un ruolo fondamentale nell’aiutare a creare mercati più sostenibili a livello globale. Dichiarando apertamente che Aviva Investors preferirebbe scambiare titoli su Borse che osservano questa clausola di quotazione, diamo un segnale importante».
Secondo Aviva Investors, a parte alcuni esempi virtuosi come le Borse di Singapore, Johannesburg e Istanbul, da parte delle altre Borse deve ancora manifestarsi un impegno serio nell’apportare cambiamenti ai requisiti di quotazione. Dalla ricerca “Borse sostenibili – Ostacoli reali, opportunità reali” commissionata da Aviva Investors sulle pratiche di sostenibilità delle 30 principali Borse per capitalizzazione di mercato (scaricabile su www.responsibleresearch.com ), emerge infatti che al momento il 57% delle Borse (Borsa italiana soddisfa solo due criteri su cinque) non fornisce criteri sui requisiti di sostenibilità per le società che si vogliono quotare.
Dallo studio emerge, inoltre, che secondo il 70% degli intervistati, le Borse hanno il dovere di incoraggiare una maggiore responsabilità su temi legati alla sostenibilità e quasi tutti stanno pensando a nuove iniziative in questa direzione. Solo il 25% cambierebbe le regole di quotazione per obbligare le aziende a valutare quanto sia responsabile e sostenibile il proprio modello di business. Poco più del 10% chiederebbe alle aziende di mettere al voto le politiche di sostenibilità aziendale. In Italia Vigeo ha appena concluso una ricerca sul livello di Csr di alcune Borse europee e americane (London Stock Exchange, Deutsche Boerse, Bolsas y Mercados Españoles e Nyse- Euronext). La stragrande maggioranza delle organizzazioni considerate offre piattaforme per lo scambio di quote di CO2 e indici di sostenibilità.
Solo il Nyse offre un servizio informativo su dati Esg (environment social governance) che le imprese possono utilizzare per monitorare le proprie performance e confrontarle con quelle dei competitor. «Tuttavia», dice Cristina Daverio di Vigeo, «iniziative più incisive che spingano le imprese quotate a integrare standard ambientali, sociali e di governance ancora non se ne vedono».

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