Cultura

No al diritto d’emergenza

La lezione del Ruanda.

di Daniele Scaglione

Quasi 10 anni fa l?esercito ruandese, le milizie comandate dagli estremisti hutu e decine di migliaia di cittadini uccisero circa 800mila tutsi (o presunti tali) e persone ritenute loro amici. Contro i genocidi lottò solo il Fronte patriottico ruandese guidato dal generale Paul Kagame. Il Fronte fermò il massacro ma non condusse una guerra pulita: uccise tra 25mila e 45mila civili. Al motto “né hutu, né tutsi, né twa (i pigmei originari del Ruanda), solo ruandesi”, i vincitori formarono un governo con 16 ministri hutu su 22. Anche il capo dell?esecutivo e addirittura il presidente della Repubblica, Faustin Twagiramungu e Pasteur Bizimungu, erano due hutu. Senza pace Le loro vicende testimoniano il fallimento del tentativo di pacificazione. Nel 1995 Twagiramungu accusò il nuovo esercito di massacrare migliaia di civili hutu, si dimise dall?incarico ed emigrò in Belgio. Pochi mesi fa, è rientrato in Ruanda per sfidare Kagame alle elezioni presidenziali, ma ad accoglierlo non ha trovato né il suo partito, messo fuori legge, né la stampa. Bizimungu, invece, è in galera dall?aprile 2002. Dopo il 1994, però sono successe molte altre cose. I responsabili del genocidio hanno preso il controllo di grandi campi profughi, si sono riorganizzati e hanno ricominciato ad attaccare e uccidere. In nome della sicurezza, oltre a invadere l?allora Zaire, le autorità ruandesi hanno aumentato la repressione sugli oppositori, sulla stampa, su chi mette in discussione il loro operato. Per scongiurare il pericolo di nuovi massacri, il Paese si è riarmato sino ai denti. In un tale contesto, è difficile considerare le elezioni presidenziali totalmente eque e libere e non c?è da sperare che possa andare meglio per quelle parlamentari, previste tra fine settembre e inizio ottobre. Le colpe di Bruxelles È una storia che suscita qualche riflessione. La comunità internazionale scelse di non prevenire né interrompere il genocidio ed evitò di aiutare il Paese a rimettersi in piedi. I governi che prima avevano elargito un fiume di aiuti, dopo il 1994 pretesero che Kigali pagasse i debiti accumulati dal precedente regime. L?Unione europea bloccò un finanziamento di 200 milioni di dollari. Si pensi inoltre ai Paesi occidentali che dopo l?11 settembre 2001 hanno dato vita a leggi speciali in contrasto con i più basilari principi sui diritti umani. Quell?attacco fu un crimine contro l?umanità, ma il Ruanda devastato dal genocidio non ha forse maggior titolo a qualche deroga in fatto di democrazia e rispetto dei diritti umani? Il veto americano Sospendere il rispetto delle libertà fondamentali in nome della sicurezza o di qualche emergenza non è mai lecito. L?unica strada da percorrere è quella della supremazia del diritto e della coerenza nel portare avanti le politiche in favore dei diritti umani. Nel suo libro in uscita in questi giorni, André Glucksmann critica chi non si è schierato a fianco degli Usa nella guerra all?Iraq richiamando il caso Ruanda. Il filosofo francese, correttamente, accusa l?Onu di non aver voluto mandare quei 5mila uomini che avrebbero potuto fermare l?eccidio. Chissà se, come accadde a Bill Clinton, capirà che quei militari non partirono soprattutto per l?opposizione esercitata nel Consiglio di sicurezza dagli Stati Uniti.


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