Formazione

No agli spacciatori di burocrazia

In 5 anni, oltre 1200 miliardi spesi per la lotta alla droga. Ma le comunità sono ridotte alla sopravvivenza. Chi lavora sul campo denuncia: sotto le scartoffie il nulla

di Cristina Giudici

I ritardi quasi epocali delle rette regionali per le comunità terapeutiche. La burocrazia dell?accordo Stato-Regioni che con il sistema degli accrediti ha sostituito la burocrazia dei ministeri capitolini. La lotta per la sopravvivenza dei centri di recupero e il solito duello fra pubblico e privato. E poi ancora le nuove droghe spesso invisibili e i vecchi tossicodipendenti da curare; da una parte i nuovi tossici che non sanno d?esserlo e dall?altra le solite vecchie strategie. Mentre la Camera approva finalmente la modifica del testo di legge che mette a regime il Fondo Nazionale per la lotta alla droga (e prevede da quest?anno l?erogazione annuale di 220 miliardi alle Regioni per finanziare progetti specifici a enti pubblici e privati), fra gli operatori della tossicodipendenza si riaccende la speranza e anche la polemica.
In queste settimane sono numerosissimi gli appuntamenti tra operatori pubblici e del privato sociale. Si è appena chiuso il raduno della Federazione Italiana delle Comunità terapeutiche (58 strutture), che già si apre Rainbow a San Patrignano, mentre il 29 ottobre prossimo sarà la volta di un seminario organizzato dal ministero Affari sociali sulle nuove droghe.
Giorni cruciali, quindi, per capire se qualcosa sta cambiando nelle strategie degli operatori antidroga. Al IV incontro nazionale della Fict, Bianca Costa Bozzo è stata chiara, il problema non sono i soldi ma i meccanismi: «La richiesta di professionalizzazione degli operatori ci sembra eccessiva e burocratizzante, manca il riconoscimento della specificità della loro professione. Non è ancora stata superata la centralità e superiorità del Servizio pubblico rispetto ai soggetti del sistema. È arrivato il momento di determinare l?accesso diretto degli utenti anche alle strutture del privato sociale eliminando l?attuale servitù che dà la chiave d?accesso soltanto ai Servizi pubblici».
Ma anche per gli altri operatori la situazione continua a essere critica, o quantomeno confusa. Il Fondo Nazionale per la lotta alla droga ha già speso dal 1990 a oggi 1.263 miliardi, a cui vanno aggiunti 400 miliardi da erogare per i biennio ?97-?98. Fino a ora, però, il governo ha proceduto con decreti perché nessuna legge attuativa prevedeva lo stanziamento dei fondi alle Regioni. Ora con l?approvazione del disegno di legge 275 ter A, verrà invece introdotta una modifica al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti, che prevede il trasferimento in tempi brevi del 75 per cento del Fondo nazionale alle Regioni per finanziare progetti di prevenzione, recupero e reinserimento dei tossicodipendenti. Il testo di legge prevede anche un nuovo atto d?intesa fra Stato e Regioni per migliore l?attuale accordo e snellire le procedure degli accrediti (le rette).
Don Mazzi, presidente della fondazione Exodus, non usa mezzi termini per commentare la novità della regimentazione del Fondo: «Quando si parla di lotta alla droga», dice, «si pensa alla burocrazia. Nonostante tutti soldi che continuano a essere spesi, noi operatori del non profit continuiamo ad avere troppi doveri e pochi diritti. Io vorrei potermi dedicare a progetti sperimentali per affrontare il problema delle nuove droghe, ma sono troppo concentrato a garantire la sopravvivenza della mia comunità. L?accordo Stato-Regioni non ha certo favorito il privato sociale, anzi i funzionari pubblici ci trattano sempre come stracci vecchi. E infatti stiamo ancora aspettando le rette del ?95».
«Inoltre», prosegue don Mazzi, «rispettare gli standard della Regione Lombardia è difficilissimo; ci sono troppi paradossi. Per esempio: secondo la Regione noi dovremmo spendere quasi il doppio di quello che effettivamente spendiamo ogni giorno per un nostro ragazzo. Oppure ci chiedono un foglio con le iniziali siglate dell?utente e poi ci chiedono un allegato con il nome completo. Una trafila burocratica che non finisce mai. Così invece di migliorare, le cose peggiorano e, a meno che non ci sia sudditanza nei confronti dei funzionari Asl, i soldi non arrivano mai. Perciò non credo che con la regionalizzazione del Fondo nazionale per i progetti le cose andranno meglio. Prima di tutto perché non abbiamo tempo di proporre progetti in quanto tutti i nostri sforzi finiscono nella lotta per le fantomatiche rette e per la sopravvivenza delle nostre comunità. Evangelicamente parlando, a noi rimangono sempre solo le briciole. Ritengo – conclude – che il problema non sia avere più soldi, ma strategie nuove. In Italia, la lotta alla droga è sempre indietro anni luce. Insomma arrivano nuovi soldi, ma restano vecchie le idee».
Per Massimo Barra, medico e fondatore della comunità Villa Maraini, è tutto da rifare: «Contesto il sistema generale del Fondo perché si basa su progetti specifici. Ma è mai possibile che dopo venticinque anni di emergenza droga, invece di sistematizzare le risorse, ci riduciamo a dover fare continuamente nuovi progetti per poter avere i finanziamenti? E come se un chirurgo oftalmico dovesse fare un progetto ogni volta che deve operare una cataratta. Le risorse vanno finanziate adeguatamente e invece, mentre la burocrazia si appresta a esaminare migliaia di progetti, molti avventurieri riescono a ottenere i finanziamenti sulla carta e poi vanno in cerca dei tossici e così si sistemano gli amici degli amici, come sempre. Sono 20 anni che qui lavoriamo sulle nuove droghe e ora ci vengono parlare dei progetti sperimentali. Ma che, siamo pazzi?».
Anche per Raffaele de Luca, operatore volontario della Comunità Incontro diretta da Piero Gelmini, la struttura del Fondo complica molto le cose: «Abbiamo 160 comunità in Italia che si basano su un percorso preciso, distribuito fra varie regioni. Sia la regionalizzazione del Fondo che l?accordo Stato-Regioni ci crea difficoltà burocratico-terapeutiche e ci obbliga ad andare nei principali capoluoghi d?Italia per ottenere rette e finanziamenti di progetti specifici che per noi fanno parte di un unico grande progetto. Così succede», conclude de Luca, «che oggi le varie Asl d?Italia ci devono 9 miliardi. Non siamo d?accordo con il modo di procedere della ministra Turco, la nostra strategia di recupero si basa su un cambiamento culturale, un ripensamento della vita. Io, per esempio, ho un figlio che è diventato schizofrenico a causa delle nuove droghe e credo che questi progetti sperimentali sbandierati dal governo siano solo dei placebo».

L’opinione di Riccardo Gatti*: tre questioni aperte
Sono sempre perplesso dalle polemiche suscitate alla vigilia di una nuova assegnazione di fondi, anche perché così ci si dimentica di entrare nel merito delle questioni. Quello che manca oggi agli operatori, nonostante i progressi fatti, è una visione d?insieme. In questo momento il fronte della lotta alla tossicodipendenza ruota intorno a tre poli: uno che riguarda gli eroinomani cronici, di cui oramai sappiamo tutto. Grazie a strategie consolidate nel pubblico e nel privato sociale siamo riusciti a ridurre la morte per overdose, la criminalità, e la diffusione dell?Hiv. Poi esiste un fenomeno completamente sconosciuto e cioè quello dell?assunzione di stupefacenti da parte di stranieri, regolari e clandestini. Non ne sappiamo assolutamente niente, anche perché non sono facili da contattare. Infine dobbiamo affrontare la questione dell?assunzione delle nuove droghe, che riguarda persone socialmente inserite, dove sia la comunità che che i Sert sono inadeguati. Nei Sevizi pubblici della Lombardia esistono dei team specializzati per affrontare le patologie derivanti dal consumo delle nuove droghe, ma siamo solo agli inizi.
*Primario Servizio dipendenze Asl Città di Milano

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