Salute

No a brevetti che distruggano embrioni

La Corte di giustizia europea è intervenuta in un procedimento promosso da Greenpeace

di Redazione

Non è brevettabile un procedimento “che, ricorrendo al prelievo di cellule staminali ricavate da un embrione umano nello stadio di blastocisti, comporta la distruzione dell’embrione”. Lo stabilisce una sentenza della Corte di giustizia della Ue che si è espressa sul caso di un trattamento contro il morbo di Parkinson brevettato dal ricercatore tedesco Oliver Brustle.  
Secondo la Corte europea, l’utilizzo per finalità terapeutiche o a partire dall’embrione umano può essere oggetto di brevetto, ma la sua utilizzazione a fini di ricerca scientifica non è brevettabile.

La Corte è intervenuta così in un procedimento di annullamento, promosso da Greenpeace, del brevetto tedesco detenuto da Brustle, docente di Neurobiologia ricostruttiva all’Università di Bonn. Un procedimento nel quale sono intervenuti anche quattro Paesi europei. Brustle, nel dicembre 1997, aveva brevettato il procedimento relativo a una terapia basata sull’uso di cellule progenitrici neurali isolate e depurate, ricavate da staminali embrionali umane allo stadio iniziale di blastocisti, da utilizzare per il trattamento di anomalie neurali. Su domanda di Greenpeace, l’Ufficio brevetti tedesco annullò la registrazione. Il medico sostenne in appello che non si poteva parlare di embrioni umani per le cellule staminali in stadio di blastocisti.
Nel 2009 la Corte di Cassazione federale si è rivolta alla Corte di Giustizia europea, chiedendo un’interpretazione della nozione di “embrione umano” presente nella direttiva europea sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche (98/44/CE). Si tratta della normativa che vieta, fra l’altro, l’utilizzo di embrioni umani a fini industriali o commerciali. E che stabilisce che il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, non può essere sottoposto a brevetti.

Oggi la Corte, ricordando la normativa dell’Unione in base alla quale “le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali devono a loro volta essere escluse dalla brevettabilità”, e che “tale esclusione non riguarda comunque le invenzioni a finalità terapeutiche o diagnostiche che si applicano e che sono utili all’embrione umano”, rileva che deve essere riconosciuta la qualifica di embrione umano anche all’ovulo non fecondato, quando in esso sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura, o quando sia stato indotto a dividersi per partenogesi, “dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano”.

Ebbene, dando torto allo scienziato, la Corte Ue afferma che “non escludere dalla brevettabilità una tale invenzione avrebbe la conseguenza di consentire di eludere il divieto di brevettabilità mediante una abile stesura della rivendicazione”. Inoltre, “l’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali enunciata all’art. 6, n. 2, lett. c) della direttiva 98/44 riguarda altresì l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica, mentre solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo può essere oggetto di un brevetto”.


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