Che siano lunghe o brevi, ci sono vite che sono troppo speciali per essere studiate e raccontate in un solo post o in libro, un film o una foto. Tanto per chiarirci subito: quella che state leggendo non è la storia di Madiba, Nelson Mandela. Le grandi vite come la sua appassionano perché i loro messaggi vivono dopo di loro, perché prima di finire sono già Storia. Ma nessuna penna, foto o film che si voglia potranno mai rendere giustizia a esistenze simili. E allora, una volta cavillati i nostri limiti, possiamo andare a raccontare le storie piccole, impercettibili, che le grandi storie hanno solo potuto sfiorare, ma che magari tutte insieme hanno contribuito a renderle grandi.
Detta in breve: questa è la storia della canzone che ha scritto un maestro del Sudafrica. E la sua canzone questa canzone è vissuta dopo di lui e ha mosso un continente intero.
Johannesburg, Sudafrica, 1897. Nella una scuola elementare di una missione metodista c’è un maestro di 24 anni che si chiama Enoch Mankayi Sontonga e sta scrivendo in lingua xhosa una preghiera per l’Africa e i suoi figli. Si intitola “Nkosi Sikelel’ iAfrika” (Dio protegga l’Africa). Ora per un attimo tenete da parte questa canzone. Il maestro Sontonga era nato 24 anni prima, a Uitenhage. Due anni prima della sua nascita, nel 1871, vennero scoperti giacimenti di diamanti, a Kimberly. Olandesi e inglesi intensificarono la loro presenza sul suolo sudafricano.
Nel 1885, mentre Sontonga studia per diventare maestro alla scuola metodista a Nancefield, vengono trovate cave di oro nello Witwatersrand. Poi Sontonga diventa maestro e fotografo. Si fa fotografare in abiti occidentali: cappello a cilindro, baffi sottili e lunghissimi che escono fuori dal suo viso tanto sono lunghi. Giacca, farfallino, doppio petto. Sposa Diana Mngqibisa, la figlia di un ministro della chiesa episcopale metodista africana.
Intorno alla missione metodista di Sontonga, il Sudafrica diventa terra di conquista. Nel 1895 la neonata azienda De Beers, fondata dall’inglese Cecil John Rhodes,diventa unica concessionaria dello sfruttamento minerario in Sudafrica.
Due anni dopo Sontonga scrive “Nkosi Sikelel’ iAfrika“. Diventa l’inno della chiesa metodista di Johannesburg, quella dove Sontonga fa il maestro. Muore pochi anni dopo, nel 1905 a 32 anni. Pochi al suo funerale a Braamfontein (per gli afrikaneer, “Mangaung” in sesotho). Nessun memoriale per lui. Ci vorranno novant’anni per ritrovare la sua tomba. Cecil Rhodes invece, quello che ha inventato la De Beers, neanche muore (nel 1902), che già era diventato eponimo della Rodesia (oggi Zambia e in parte Zimbabwe). Qui finisce la storia del maestro Sontonga. E qui inizia la storia della sua preghiera per l’Africa.
Nel 1910 il Sudafrica è sì Repubblica, ma dominion dell’Impero britannico. Inno nazionale del Sudafrica: God save the King. Due anni dopo (l’8 gennaio 1912) nella piccola chiesa di Bloemfontein, vicino alla tomba di Sontonga, nasce l’African National Congress (ANC). Primo presidente dell’ANC è il reverendo John Langalibalele Dube.
Con la scoperta dei giacimenti di diamanti, il Sudafrica era diventato terra di apartheid per la gente di Sontonga: la segregazione e e la separazione dei bianchi dai neri inizia proprio con l’organizzazione del lavoro in miniera. Nel 1913 viene emanato il Native Land Act che sottrae ai neri l’87% delle terre e costringe il 67% della popolazione nel 7% delle terre coltivabili. Inizia una serie interminabile di leggi e atti che restringono le libertà dei neri sudafricani: l’Urban Areas Act (1923) crea i ghetti. Nello stesso anno “Nkosi Sikelel’ iAfrika” viene finalmente registrato, per la prima volta, da uno dei fondatori dell’ANC, Sol Plaatje. Dove? A Londra.
Tre anni dopo, 1926, in Sudafrica viene varato il Color Bar Act, che impedisce ai neri l’accesso ai lavori qualificati. Dieci anni dopo il Rapresentation of Native Act espelle i neri dalle liste elettorali. E poi il Population Registration Act (1950) che suddivide la popolazione tra bianchi e “non bianchi” (i non bianchi vengono divisi in colorati, indiani e bantu; a loro volta i bantu vengono divisi in Zulu, Xhosa, Tswana, Venda e Soto).
Complici anche i disastri della Seconda Guerra Mondiale che ha indebolito i colonizzatori, l’ANC, il movimento africano che era nato nella chiesa metodista di Sontonga, diventa sempre più forte e si espande in tutto il Sudafrica: nel 1955 Walter Sisulu e Nelson Mandela scrivono a Johannesburg la Freedom Charter. Inno ufficiale dell’ANC è proprio “Nkosi Sikelel’ iAfrika” del maestro Sontonga. Non solo: prima di diventare l’inno nazionale in Sudafrica, lo è già gran parte dell’Africa subsahariana che lotta per la propria libertà, contro l’oppressione dei colonizzatori. In Tanzania è “Mungu Ibariki Africa”, grazie a un altro maestro elementare, che poi fu la grande guida spirituale e politica del Paese: Julius Karambage Nyerere, detto Mwalimu, appunto “maestro”.
La storia recente è forse superfluo raccontarla: nel 1994, nel corso delle prime elezioni libere in Sudafrica, vince l’ANC e Nelson Mandela è presidente. Nkosi sikelel’iAfrika diventa inno nazionale cantato contemporaneamente in cinque lingue: nelle quattro lingue sudafricane Xhosa, Zulu, Sotho e Afrikaans e in Inglese.
“Una canzone può muovere un continente intero“, lo disse Madiba, Nelson Mandela, da presidente della Repubblica Sudafricana, il 24 settembre 1996. Lo disse sulla tomba di Sontonga, che da quel giorno è monumento nazionale. E da quel giorno Enoch Mankayi Sontonga venne insignito del South African Order of Meritorious Service (“Ordine sudafricano del servizio meritevole”).
Ora ascoltate Nkosi Sikelel’i Africa, cantata dai più importanti cantanti e musicisti sudafricani e pensate a Madiba e al maestro Sontonga…
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