Mondo
Nigeria: una crisi umanitaria devastante
Dopo Etiopia, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana il viaggio tra le crisi dimenticate ci porta nel terzo Paese africano per sfollati interni, più di due milioni e mezzo di persone
Il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, annuncia la resa in un video pubblicato ieri su Youtube. «Per me è giunta la fine» dichiara a oltre un anno dalla sua ultima apparizione, dopo che era stato dato più volte per morto. Anche se il messaggio suggerisce la resa del capo dell’organizzazione criminale, il ministero della Difesa nigeriana non si sbilancia. Invita la popolazione alla prudenza, mentre continuano gli scontri con i terroristi, sfiancati dagli attacchi dell’esercito nigeriano, che avrebbero tagliato loro le vie per gli approvvigionamenti.
È invece purtroppo confermato il rapimento di almeno 14 donne di Adamawa, località a nord del Paese e roccaforte del gruppo terroristico, a dimostrazione che lo scontro non è ancora concluso. Le offensive dell’esercito nelle ultime settimane hanno però portato alla liberazione di numerosi ostaggi. L’ultimo grande blitz delle forze armate nigeriane ha riscattato 180 persone, la maggior parte donne e bambini.
A darne notizia è stato lo stesso esercito nigeriano, che dal suo sito annuncia l’uccisione di cinque terroristi legati al gruppo jihadista, durante lo scontro a fuoco. Le incursioni dei militari hanno interessato diverse località della provincia di Mafa, nello stato di Borno, a nord-est. Una buona notizia che arriva in una regione ormai devastata dalla crisi umanitaria che prosegue da anni, e che purtroppo ha conosciuto una macabra accelerata nel 2015, soprattutto a nord, intorno al lago Chad, che delimita il confine con il Ciad e con il Niger.
Dal 2009, da quando l’organizzazione terroristica Boko Haram ha cominciato a mostrare il suo vero volto, ci sono state più di 20.000 persone uccise, e alla crescente crisi umanitaria di aggiungono le oltre 2000 le donne e le ragazze che sono state rapite, violentate, costrette a matrimoni con i militanti. Ad oggi la Nigeria è il terzo Paese africano per sfollati interni, più di due milioni e mezzo di persone che sono fuggite dalla località d’origine per cercare asilo in altre zone del Paese o negli Stati limitrofi, in particolare in Niger, Chad e Camerun.
Nel nord-est le violenze e gli attacchi si sono intensificati nel 2015, e la situazione è sempre più complicata. La regione del Lago Chad presenta difficili condizioni topografiche, e la vegetazione scarseggia, l’estrema povertà e la mancanza di servizi costringono milioni di persone a migrare. Attentati, suicidi, saccheggi e sequestri di persona non hanno fatto altro che alimentare la paura, e le misure di sicurezza messe in campo: i blocchi stradali, i coprifuoco, il dispiegamento ingente di militari hanno creato un clima di tensione e diffidenza, e i Paesi confinanti lanciano lo Stato d’emergenza e non riescono a far fronte alla crisi. Le organizzazioni a tutela dei rifugiati come l’ UNHCR hanno più volte sottolineato che questi respingimenti infrangono i diritti di protezione internazionale. La situazione ha portato a restringere lo spazio umanitario al bacino del lago Chad, e quelli che vengono ospitati nelle comunità di accoglienza dei paesi limitrofi spesso non hanno alcun certificato di riconoscimento. Questo crea nuovi apolidi, privi di documenti e difficili da intercettare.
I conflitti, le continue incursioni, i rapimenti e gli omicidi di questi ultimi anni hanno inciso profondamente in un Paese che aveva goduto di una certa stabilità, grazie soprattutto alle ingenti riserve petrolifere che possiede. Il presidente Muhammadu Buhari, insediato alla guida del Paese un fa, aveva annunciato priorità assoluta alla lotta contro Boko Haram e, soprattutto, al riscatto delle 276 liceali rapite il 14 aprile del 2014 a Chibok per le quali era stata lanciata una campagna su Twitter, cui aveva aderito anche la first lady Michelle Obama con l’hashtag #BringBackOurGirls.
Delle ragazze ancora non c’è traccia, ma se davvero le forze armate stanno sconfiggendo i terroristi, lo sguardo deve andare oltre il conflitto, a un Paese che dovrà trovare le risorse per far fronte all’enorme crisi umanitaria che la violenza ha lasciato in eredità.
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