La Nigeria purtroppo sta precipitando sempre più nel caos. Anzitutto lo sciopero generale indetto contro il “caro-benzina” dopo il taglio delle sovvenzioni statali. Ieri è stato il terzo giorno di blackout, mentre simultaneamente continuano nel Paese le violenze interreligiose che, nelle ultime 24 ore, hanno causato la morte di quattro cristiani e di un poliziotto per mano del gruppo integralista Boko Haram nel nord est del Paese.
Non v’è dubbio, dal mio punto di vista, che quanto sta avvenendo in Nigeria evidenzi la debolezza del governo federale di Abuja e in particolare del presidente Goodluck Jonathan. Stiamo parlando di un Paese caratterizzato da profonde diversità etniche, religiose, linguistiche e culturali, nonché da fortissimi squilibri sociali ed economici. L’unico vero collante, a parte i confini geografici, è rappresentato da un ordinamento costituzionale di tipo federale che nell’epoca postcoloniale è passato disinvoltamente dalla gestione civile a quella militare. Negli anni, la frammentazione interna al “sistema Paese” ha fatto sì che si affermassero delle oligarchie locali in forte competizione. Ciò ha determinato una gestione clientelare delle risorse petrolifere e acuito a dismisura la povertà della stragrande maggioranza della popolazione. Questo concretamente significa che il 60% della popolazione nigeriana sopravvive con due dollari al giorno. E dire che la Nigeria ha riserve petrolifere stimate in 36 miliardi di barili, mentre per il gas si parla di 5.200 miliardi di metri cubi.
Come noto, a garantirne lo sfruttamento del bacino sono le compagnie petrolifere straniere, che beneficiano di offerte contrattuali estremamente vantaggiose. Eppure i proventi dell’oro nero quasi mai sono stati utilizzati per la “res publica” da parte dei governi, sia civili che militari. Basti pensare alle gravissime carenze infrastrutturali e al paradosso di una fornitura energetica del tutto inadeguata per la domanda interna. La cosa assurda è che, sebbene l’esportazione di greggio e gas copra il 95% dell’export complessivo nigeriano, questo Paese che, per così dire, “galleggia sul petrolio” deve importare l’85% dei prodotti raffinati, a causa delle scarse capacità interne di produzione. Jonathan aveva fatto sperare perché rappresentava un volto nuovo, essendo sempre stato estraneo agli ambienti militari. Inoltre, è un cristiano con una buona reputazione, originario della regione petrolifera del Delta del Niger e non è espressione di alcuna delle tre maggiori etnie (Hausa-Fulani, Yoruba e Ibo) che rappresentano quasi il 70% della popolazione. Appartenente al gruppo Ijaw, minoritario a livello nazionale, il presidente è stato favorito nella sua elezione dalle indiscrezioni pubblicate da WikiLeaks che ha reso noto un cablo di un ex ambasciatore Usa nel quale veniva considerato come uno dei pochi politici nigeriani non corrotti. Sta di fatto che Jonathan oggi è sempre più solo; sia l’esercito che i politici sembrano remargli contro, dando solo apparentemente l’impressione di assecondarlo nelle sue decisioni. È stato inoltre contestato da più parti il fatto che proprio lui, un cristiano del Sud, abbia violato, candidandosi, la regola, non scritta, ma sin qui osservata, dell’alternanza tra un capo di Stato musulmano e uno cristiano. Jonathan è però giunto al potere lo scorso anno, a seguito della morte prematura del suo predecessore Umaru Yar’Adua, un musulmano, del quale era vicepresidente e non ha quindi svolto un intero mandato. Ha potuto perciò sostenere il diritto di candidarsi senza violare la regola dell’alternanza. Ma il suo antagonista alle presidenziali, l’ex dittatore Muhammadu Buhari, musulmano del Nord, ha promesso di non dargli tregua. Nei circoli diplomatici accreditati ad Abuja, c’è chi dice che sia proprio Buhari o qualcuno del suo entourage a finanziare il movimento Boko Haram. Non solo: il progetto di questi signori prevederebbe una secessione dal Sud. Un’ipotesi che preoccupa non poco gli analisti, considerando che vi è un precedente, quello sudanese. Inoltre, proprio nel Nord della Nigeria pare vi siano depositi di materie prime e fonti energetiche, finora ignote, che acuirebbero l’appetito di potentati stranieri. E qui Al Qaeda e i salafiti sauditi potrebbero davvero centrare, come peraltro già scritto su questo Blog.
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