In Nigeria prosegue ad oltranza l’offensiva dei Boko Haram che continuano a colpire da ormai diverso tempo edifici di culto cristiani, seminando morte e distruzione. Com’è noto, domenica scorsa, cinque chiese sono state attaccate nello Stato settentrionale di Kaduna, a cui sono seguiti morti e feriti prima tra i cristiani e poi tra i musulmani. Ben ha fatto dunque la Santa Sede ad affermare perentoriamente che quanto è accaduto a Kaduna “è orribile e inaccettabile, segno di un disegno assurdo di odio”. Ma proprio perché stiamo parlando del più popoloso paese dell’Africa sub-sahariana, segnato dalla difficile coesistenza di oltre 250 etnie, le cui rivalità peraltro non si esauriscono nella contrapposizione tra il nord prevalentemente musulmano e il sud a maggioranza cristiana, è importante riflettere sulla strategia del terrore messa a punto da questo movimento di matrice jihadista. La situazione, infatti, è degenerata notevolmente da quando è stato eletto presidente della Nigeria, nell’aprile dello scorso anno, Goodluck Jonathan, portabandiera del People’s Democratic Party (Pdp) e originario del Sud del paese. Una vittoria, la sua, che non è stata affatto gradita dalle oligarchie settentrionali del Paese, di fede islamica, che hanno visto, per così dire, ridimensionato il loro peso politico. Jonathan, infatti, appartiene all’etnia Ijaw, minoritaria a livello nazionale e di tradizione cristiana, ma che rappresenta la maggioranza della popolazione nella regione del Delta del Niger, ricchissima di petrolio e sotto il controllo delle multinazionali straniere. In questo contesto, il fattore religioso si sovrappone ad una competizione per il potere che rischia, di questo passo, di spaccare in due il paese. Per quanto i Boko Haram siano estremisti pericolosissimi e abbiano come obiettivo dichiarato quello di fondare un nuovo califfato, imponendo la sharia (la legge islamica) a tutta la federazione nigeriana (attualmente è in vigore solo nei 12 Stati del nord), le ragioni dell’accresciuta attività terroristica vanno rintracciate, almeno in parte, nei rapporti che i Boko Haram hanno stretto nel corso degli ultimi due anni, con politici locali e membri delle forze di sicurezza originari del nord, interessati alla radicalizzazione del conflitto al fine di rendere la Nigeria ingovernabile, costringendo Jonathan alle dimissioni. Sono questi signori che andrebbero rimossi dal loro incarico e che inspiegabilmente continuano a fare il bello e il cattivo tempo. Inoltre, vi sono prove evidenti, fornite pubblicamente dall’intelligence nigeriana in sede Ecowas (la Comunità economica dei paese dell’Africa occidentale), che dimostrano l’esistenza di legami tra il movimento estremista con organizzazioni quali al Qaida nel Maghreb islamico, per non parlare di cospicui aiuti finanziari forniti dal movimento salafita di matrice saudita. Ecco che allora l’accresciuta attività dei Boko Haram va inserita nel contesto dei fragili equilibri politici e sociali della Nigeria, dove peraltro la questione della redistribuzione dei proventi petroliferi non è ancora stata presa in considerazione da alcun governo democraticamente eletto; in un paese, peraltro, in cui la quasi totalità della ricchezza è concentrata nelle mani di un manipolo di nababbi che rappresentano l’1% della popolazione. Una cosa è certa: i Boko Haram stanno facendo di tutto per mettere in difficoltà il presidente “cristiano” il quale sembra essere sempre più impotente nel domare i terroristi. Stiamo parlando di alcune centinaia di combattenti che, utilizzando la religione per fini eversivi, acuiscono la contrapposizione etnico-religiosa tra gli hausa-fulani, musulmani del nord, e gli yoruba e gli igbo, cristiani del sud. A questo proposito, va ricordato che furono proprio gli igbo i protagonisti del tentativo di secessione della regione sud-orientale nel 1967, da cui scaturì la sanguinosa guerra del Biafra. Allora, proprio per evitare inutili secessioni e ulteriori spargimenti di sangue, l’unica strada perseguibile è quella di stroncare i collegamenti tra i Boko Haram e i loro sostenitori all’estero, affrontando ad esempio la crisi maliana che sta facilitando l’approvvigionamento di armi e munizioni destinate alla Nigeria. Ma fin quando nei palazzi del potere, ad Abuja e dintorni, vi saranno personaggi che fanno il doppiogioco , i cristiani e con essi i musulmani moderati, continueranno a pagare col sangue. E questo la comunità internazionale non può permetterlo.
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