Welfare

Niente chirurgia estetica per le persone down

Il Comitato nazionale di bioetica ha presentato un nuovo documento sulla chirurgia estetica. Dove si parla di trapianti di viso e si bocciano gli interventi su chi ha la sindrome di Down

di Sara De Carli

Una campagna di sensibilizzazione per la donazione dei tessuti e degli organi esterni, come avviene già per la donazione degli organi interni. La chiede il Comitato nazionale di bioetica nel suo nuovo documento “Aspetti bioetici della chirurgia estetica e ricostruttiva”, in considerazione della difficoltà a trovare donatori e della particolare delicatezza di questo argomento. Donare parti del proprio viso o arti sembra infatti ancora spaventare molto, sia perché questo altera l’aspetto del cadavere sia per la valenza altamente simbolica e identitaria che queste parti del corpo hanno. Una soluzione, secondo il Cnb, potrebbe essere quella di prevdere un “consenso/dissenso parziale”.

Il Cnb chiede anche una protezione ai minori, vietando pubblicità e servizi televisivi che provochino il rifiuto della propria immagine. E non ritiene vi siano ragioni etiche per giustificare la chirurgia estetica sui minori con sindrome di Down, quando l’intervento non ha anche una finalità terapeutica o funzionale (ad esempio miglioramento dell’attività respiratoria)  ma solo estetica.
«Sono molteplici gli studi – scrive la relazione – che hanno evidenziato come attraverso questi interventi difficilmente si realizzi un beneficio per la persona con sindrome di Down e come sia frequente la possibilità di causare un effetto contrario: il cambiamento somatico estetico può determinare nel minore un senso di alterità nei confronti della propria immagine (ostacolando il processo di auto-identificazione) e la percezione di essere rifiutato dall’ambiente sociale e in specie da coloro che si dovrebbero prendere cura di lui. Oltretutto si rischia di alimentare l’illusione, nei confronti dei familiari, che l’intervento estetico modifichi la condizione di disabilità. Il Comitato ritiene che l’accettazione della disabilità non debba passare attraverso la modificazione esteriore del corpo, ma attraverso il riconoscimento della persona, che si esprime nella relazione e nell’accettazione della sua condizione esistenziale».
 


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