Welfare
Niente brevetti. Per noi è roba da retroguardia
Alessandro Pizzoccaro, presidente di Guna
È alla testa del maggior gruppo di prodotti omeopatici. Dice: «Inutile sprecare energie nel proteggere conoscenze. Meglio cercarne di nuove» «Immaginatevi un qualsiasi settore che per anni non può immettere un prodotto nuovo: sarebbe già morto e sepolto sul mercato. Il nostro invece è vivo e vegeto e questo dovrebbe far pensare!». Alessandro Pizzoccaro, presidente di Guna, l’industria leader dell’omeopatia in Italia, fondata con la moglie Adriana nel 1983, preferisce buttarla sul positivo per spiegare il paradosso in cui il settore si trova ad operare. «La nostra legislazione è l’unica in Europa a non consentire l’etichettatura dei medicinali omeopatici e neppure di aprire nuove linee di prodotto». Nonostante questo, Guna (nome preso in prestito da una parola sanscrita che significa “l’energia che pervade gli esseri e le cose”) fattura quasi 51 milioni di euro, ha una quota di mercato che sfiora il 30% in Italia e una gamma di oltre 2mila prodotti, dagli antinfluenzali ai gastrici, dagli antibatterici a quelli per la cura della pelle, oltre a integratori alimentari e prodotti per la cosmesi.
Vita: Perché tanta ostilità verso l’omeopatia?
Alessandro Pizzoccaro: C’è un atteggiamento molto repressivo da parte delle istituzioni pubbliche (ministero, Agenzia del farmaco) ma anche delle università, del mondo accademico che vedono l’omeopatia come una forma di medicina non degna di questo nome. Un atteggiamento spiegabile con due motivi: il più importante secondo me è una sorta di “resistenza culturale” difficile da superare per chi si è formato alla scuola tradizionale del farmaco, dove è fondante il rapporto dose/effetto, mentre l’omeopatia parte dal presupposto dell’efficacia terapeutica anche di un quantitativo minimale, non quantificabile, di farmaco. Questo nonostante ci siano studi clinici e scientifici che dimostrano come questo strano meccanismo non legato al rapporto dose/effetto funzioni regolarmente.
Vita: Come si fa a crescere senza progettare né pubblicizzare nuovi farmaci?
Pizzoccaro: Siamo stati obbligati a cercare sbocchi all’estero. Perché abbiamo tante idee, abbiamo realizzato tanti prodotti nuovi. Esportiamo i nostri prodotti in 25 Paesi del mondo e negli Stati Uniti abbiamo una filiale. La cosa curiosa è che negli Usa abbiamo registrato i nostri farmaci presso l’Fda come “omeopatici” con procedura difficile ma gestibile (conclusa nel giro di 6-8 mesi). Così succede che in Italia, nel nostro stabilimento di via Palmanova a Milano, produciamo farmaci che non possiamo vendere in Italia e che invece vendiamo negli Usa.
Vita: Quanto contano per voi la ricerca e l’innovazione?
Pizzoccaro: Moltissimo. Abbiamo individuato ad esempio il sistema SKA (Sequential Kinetic Activation), una particolare tecnica standardizzata dai nostri laboratori di ricerca che ci garantisce la stessa percentuale di elementi in ogni prodotto, evitando il problema dell’instabilità. Abbiamo anche lavorato molto su molecole proteiche che hanno un’importanza fondamentale per equilibrare e regolare l’organismo. Un lavoro importante, fatto in collaborazione con l’università di Milano, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Pulmonary Pharmacology & Therapeutics per misurare gli effetti dei bassi dosaggi sulla sostanza interleuchina, una delle responsabili dell’avvio del processo infiammatorio. Inoltre dal 2009 abbiamo sospeso i brevetti sui nostri prodotti e ogni nuovo farmaco è privo di copyright. Per noi si tratta di una scelta etica importante.
Vita: Come siete arrivati alla scelta no-patent?
Pizzoccaro: Da un ragionamento di tipo economico. In passato abbiamo avuto esperienze di brevettualità, e ci siamo accorti che tutto il lavoro legato alla registrazione ha degli oneri di tipo umano, finanziario, di tempo che alla fine nella nostra esperienza non hanno avuto un riscontro altrettanto valido in termini di efficacia economica. Il secondo elemento è legato al fatto che nell’epoca di Internet, dove le informazioni viaggiano alla velocità della luce, pensare di poter congelare delle conoscenze attraverso un sistema che risale all’Ottocento, è anacronistico. Al contrario la vera differenza concorrenziale non si ha proteggendo delle conoscenze ormai acquisite, ma dedicando le proprie risorse nell’individuare nuovi elementi, nuove possibilità, nuove conoscenze. Il brevetto per le industrie farmaceutiche è quasi un totem, per noi invece è una situazione di retroguardia. Non ci interessa utilizzare cose del passato, vogliamo cose nuove.
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