L’ultimo rapporto (il quinto) presentato il 31 marzo a Yokohama dall’Intergovernamental Panel on Climatic Change appare assolutamente allarmante. La incapacità dei governi riuniti in successive conferenze sul clima (a iniziare dal quella di Rio de Janeiro del 1992), di dotarsi di misure impegnative e concrete per cercar di bloccare la disastrosa corsa delle temperature verso i 4° di aumento, foriero di catastrofi inimmaginabili, apre prospettive inquietanti.
Tra queste, eventi meteorologici estremi, con ondate di calore, precipitazioni parossistiche, alluvioni, siccità devastanti che aggrediranno ecosistemi e culture, distruggendo biodiversità ed equilibri ecologici e colpendo in maniera più massiccia i settori più deboli della popolazione umana, con crolli nelle produzioni agricole, conflitti per l’acqua e il pesce, malattie e carestie.
Il tutto su gran parte del Pianeta, già messo a rischio da una crescita demografica incontrollata e dall’avidità insaziabile delle multinazionali e degli Stati più sviluppati. Basterebbero queste previsioni per far svanire definitivamente ogni residuo di posizioni conservatrici che neghino la gravità dei problemi e la responsabilità dell’uomo nell’aggravarli.
Eppure non è così.
Ci sono ancora infatti parti non trascurabili dell’informazione mondiale che tendono a minimizzare le problematiche sopra esposte e a sostenere l’inutilità e addirittura i costi eccessivi di ogni misura volta a rallentare il degrado in atto, negandone la pericolosità.
Un esempio tra tanti.
Di fronte all’evidenza drammatica di un rapporto che ha coinvolto 436 autori nei differenti campi della scienza e 1729 esperti di tutto il mondo impegnati nella revisione della valanga di dati che denunciano lo scioglimento inarrestabile dei ghiacci, l’innalzamento del livello dei mari, l’aumento delle percentuali di CO2 nell’atmosfera responsabili del global warming, e la perdita di biodiversità c’è chi ha voluto, nella immensa schiera dei scienziati firmatari del rapporto IPCC, scovare l’unico degli autori dei capitoli che ha rifiutato di firmare il testo in quanto “troppo allarmista” e finalizzato a sostenere che il climate change costuisca il maggiore problema del mondo.
Il professor Richard Tol dell’Università del Sussex (questo il suo nome) si rende così portavoce e complice della schiera di coloro che, più o meno in buona fede, fanno il gioco di chi non vorrebbe porre mano a misure di mitigazione della tendenza che minaccia il futuro dell’umanità, solo per non perdere anche una minima parte dei propri guadagni e del proprio potere.
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