Formazione

Nido per tutti entro dieci anni: le ragioni e la proposta

Alleanza per l'infanzia e la Rete educAzioni hanno presentato oggi il rapporto congiunto “Investire nell’infanzia: prendersi cura del futuro a partire dal presente”. Tutto quello che c’è da sapere sul perché, sul come, e con quali riuscire a fare ciò che da almeno vent’anni in Italia la politica annuncia e non fa

di Sara De Carli

“Investire nell’infanzia: prendersi cura del futuro a partire dal presente”. È questo il titolo del rapporto congiunto di Alleanza per l'infanzia e della Rete educAzioni, presentato oggi e curato da Emmanuele Pavolini, ordinario di Sociologia economica e politica sociale presso l'Università di Macerata. Sessanta pagine fitte e documentatissime per esporre le ragioni e le proposte per un ampliamento e rafforzamento dei servizi educativi e scolastici tra 0 e 6 anni e degli interventi a sostegno della genitorialità: «Non c’è investimento migliore del Next Generation EU Fund di quello per i diritti delle prossime generazioni» scrive Pavolini insieme ad Alessandro Rosina e Chiara Saraceno nella premessa. I Fondi del Next Generation UE «offrono l’opportunità unica di poter sostenere le spese degli investimenti infrastrutturali, quantificati per l’obiettivo minimo di breve periodo del 33% di copertura di posti disponibili in nidi pubblici comunali in 4,8 miliardi, lasciando alla fiscalità generale l’onere della spesa corrente». Il rapporto è allegato in fondo all'articolo.

Ovviamente i nidi non sono, rispetto al tema, l'asso pigliatutto: «le proposte qui formulate nel campo dei servizi educativi, di supporto alle famiglie con figli e della scuola dell’infanzia saranno tanto più efficaci quanto più avverranno non solo in parallelo, ma in modo sistemico e integrato, all’interno di una rivisitazione ed un potenziamento degli strumenti adottati nel campo dei congedi e dei trasferimenti monetari alle famiglie», si legge nel report e anzi «il rischio che si corre in questo momento in Italia è quello di concentrarsi su un unico aspetto (ad esempio, i trasferimenti piuttosto che i servizi), finendo con il limitare l’efficacia con cui la nostra società e politica sostengono le famiglie con figli e la crescita educativa di questi ultimi».

Di fatto però qui si trova la summa su tutto quello che c’è da sapere sul perché, sul come, e con quali riuscire a fare ciò che da almeno vent’anni in Italia la politica annuncia e non fa. «La proposta qui presentata parte dalla constatazione che complessivamente, fino ad oggi, l’Italia non è stata capace di sviluppare politiche pubbliche adeguate a promuovere, come avvenuto invece in molti altri paesi occidentali, l’educazione e lo sviluppo umano a partire dalla primissima infanzia in coerenza sia con il benessere relazionale ed economico della famiglie, sia con la prospettiva di una crescita solida e di qualità del paese», si legge nella premessa. «Il nostro obiettivo comune è quello di rafforzare la “voce” e le ragioni dei molti soggetti che ritengono fondamentale trovare risposte alle criticità inerenti i diritti dell’infanzia, degli adolescenti e delle loro famiglie (indispensabile per dare nel presente basi solide al futuro del Paese), sia facendo pressione sulla politica, perché operi le riforme e le iniziative necessarie, sia sollecitando e sostenendo le comunità locali, perché costruiscano ambienti più favorevoli ai bambini, ai ragazzi e ai loro genitori».

Perché investire in servizi educativi per la prima infanzia? Perché la loro frequenza comporta ricadute positive su tre dimensioni: il benessere e le competenze dei bambini; il benessere e le condizioni delle loro famiglie; la coesione sociale e lo sviluppo economico delle comunità e dell’intera società. In sintesi, perché in un Paese che non cresce da 20 anni, che presenta alti tassi di povertà, marcate diseguaglianze sotto il profilo economico e sociale, tassi di natalità molto bassi ed un mercato del lavoro in cui si creano lavori qualificati e professionalizzanti meno che in molti altri contesti occidentali, «quello che fa bene ai bambini e alle famiglie con figli, fa bene al Paese».

La situazione attuale

La situazione attuale racconta di minori opportunità di accesso al nido per i bambini che vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale (13,9%), a rischio di povertà (13,3%) e con bassa intensità di lavoro (15,6%), a fronte di frequenza media del 25,7% a livello nazionale. Il sistema attuale dello 0/3 ha due problemi: i tassi di copertura limitati e l’effetto “San Matteo” per cui di fatto è più semplice accedere alle risorse che si rendono disponibili per i soggetti che già hanno più risorse, mentre nella prospettiva di potenziare anche le funzioni educative, di inclusione sociale e di riequilibrio delle distanze socio-economiche, si pone un forte problema di equità del sistema dal punto di vista dell’accessibilità di tutti i bambini, indipendentemente dal luogo di residenza e dalle condizioni socio-economiche dei nuclei familiari. Sulla fascia 3/6, quella della scuola dell’infanzia, tradizionalmente con una copertura ottima, in realtà negli ultimi dieci anni (dall’anno scolastico 2010/11 al 2019/20) si è registrata una diminuzione del numero delle scuole (-6%) e del numero degli alunni (-16%). Solo in parte la diminuzione degli iscritti è imputabile al decremento della popolazione di riferimento: il numero di iscritti sul totale dei bambini in età 3-5 anni è scesa da circa il 96% del 2010 a circa il 89% del 2019. È in atto un silenzioso processo di posticipazione dell’iscrizione dai 3 ai 4 anni, che si unisce a quello che invece vede l’iscrizione in anticipo alla scuola primaria nell’anno scolastico di riferimento (circa 36 mila bambini l’anno (che per il 70% risiedono nel Mezzogiorno).La spesa media annua pro capite per la mensa scolastica, all’infanzia, è di 735 euro: un dato che incide sulla frequenza solo anti-meridiana o di non più di 25 ore settimanali che si registra nelle Regioni meridionali e fra bambini con cittadinanza non italiana. E se… E se una parte di queste scuole dell’infanzia chiuse – 635 solo nel pubblico fra il 2010 e il 2019, di cui 316 nell’ultimo quinquennio – fossero ristrutturate e riconvertite in nidi e servizi educativi per la prima infanzia? Quante sono acquistabili o utilizzabili a tal fine, per accelerare la disponibilità di strutture per lo 0/6?

La proposta

«La situazione attuale in Italia dei servizi educativi per l’infanzia mette in evidenza la necessità di due linee principali di intervento. Da un lato emerge l’esigenza di politiche a sostegno sia della domanda di servizi sia dell’attivazione dell’offerta, attraverso investimenti pubblici per rendere disponibili un maggior numero di posti nei nidi. Dall’altro lato, nella prospettiva di potenziare le importanti e possibili funzioni educative, di inclusione sociale e di riequilibrio delle distanze socio-economiche che i servizi all’infanzia possono avere, si pone la sfida dell’equità del sistema, dal punto di vista dell’accessibilità di tutti i bambini, indipendentemente dal luogo di residenza e dalle condizioni socio-economiche dei nuclei familiari», scrive il report.

Ecco quindi la proposta, che parte dalla richiesta che vengano definiti i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) anche nel campo dell’educazione per i bambini in età 0-6 anni, in modo da fissare e garantire l’esigibilità del diritto di ogni bambino a beneficiare di percorsi educativi e di istruzione di qualità da 0 a 6 anni, là dove si nasce e si cresce. Quattro gli obiettivi concreti:

1.Riconoscere in maniera più compiuta i diritti educativi e di istruzione dei bambini in età 0-6 anni, tramite un ampliamento del grado di copertura e di impegno degli interventi pubblici: l’obiettivo è raggiungere entro tre anni finalmente il 33% ci copertura indicata da Lisbona per il 2010, con servizi gratuiti. Entro dieci anni va assicurato il diritto soggettivo al nido ad ogni bambino che nasce. Il tempo pieno alla scuola dell’infanzia deve raggiungere il 95%, in tutte le regioni, con parziale gratuità dei costi per la mensa

2.Promuovere la qualità del Sistema integrato di educazione e di istruzione per i bambini in età 0-6 anni. La letteratura mette in chiaro che i servizi educativi e le scuole nella prima infanzia fanno bene alla crescita dei bambini se sono di qualità, altrimenti rischiano di non servire o, peggio, di creare problemi. Bene ha fatto, quindi, il legislatore italiano a collocare non solo la scuola dell’infanzia, ma anche i nidi nell’ambito del settore istruzione, riconoscendone il carattere eminentemente educativo. Sarà necessario investire risorse aggiuntive per assunzioni e percorsi di formazione integrata, e modificare, ampliandoli, i limiti assunzionali imposti agli enti locali.

3.Promuovere la effettiva e progressiva integrazione del sistema 0-6

4.Promuovere gli interventi a supporto della genitorialità. Si suggerisce il potenziamento dei Centri per bambini e famiglie all’interno del sistema integrato zero-sei come servizio integrativo specifico, sostenendone la creazione all’interno degli istituendi Poli per l’infanzia. La creazione di poli educativi integrati può avere un ruolo cruciale, nella misura in cui accostando servizi “a bassa soglia” (centri per le famiglie, ludoteche, servizi per i genitori) a servizi “forti” (nido, scuola dell’infanzia), anche favorendo una prossimità fisica, contribuiscono a mettere in comunicazione soggetti ed esperienze, a costruire fiducia.

Foton Unsplash

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