Economia
Next Generation Eu: molte modifiche, ma Terzo settore e imprese sociali sempre al palo
Si susseguono le bozze del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma per far ripartire il Paese serve un vero riconoscimento del ruolo delle organizzazioni che agiscono secondo logiche diverse sia dalle imprese private che dalle amministrazioni pubbliche. Una consapevolezza che sembrano avere il 65% degli italiani, ma non il Governo e i suoi tecnici
Mentre si susseguono a ritmi sempre più ravvicinati le bozze di PNRR con modifiche significative sia negli importi che nella distribuzione dei fondi tra le diverse missioni, si rilevano poche novità in relazione al ruolo del terzo settore, peraltro sempre indicato in modo generico e senza tenere conto delle sue assai diverse – specie dal punto di vista di un documento di rilancio del paese – componenti.
Veniva citato nella prima bozza del Piano solo nel titolo della componente “Vulnerabilità, inclusione sociale, sport e Terzo settore” della missione “Parità di genere, coesione sociale e territoriale” con un finanziamento di 5,9 miliardi e lo si ritrova nella quarta bozza – quella portata dalla befana – nella seconda componente della missione “Inclusione e coesione” dal titolo “Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore” con un finanziamento di 11,6 miliardi (al netto del Family Act), con un generico riferimento alla valorizzazione del contributo del Terzo settore. Peraltro, evidenziando una logica per cui il compito del Terzo settore è quello di contribuire a rendere più efficace l’azione pubblica, nella pianificazione dei suoi servizi destinati a contrastare la marginalità, più che vedersi riconosciuto un ruolo autonomo e più ampio.
Qualcuno ha già cantato vittoria sia per qualche citazione un po' più esplicita rispetto alla bozza precedente (c’è anche un singolo passaggio in cui si menziona l’economia sociale, senza però alcuno sviluppo successivo) che per lo stanziamento, commettendo però un doppio errore.
Innanzitutto, la cifra è destinata ad affluire solo in minima parte agli interventi che vedono impegnato il Terzo settore: essa include infatti tutti gli interventi previsi dall’intera componente, con la quota riservata agli interventi di rigenerazione urbana che fa la parte del leone (6,3 miliardi). In secondo luogo, perché sembra che gli estensori, sembrano indicare che questa sarà se non l’unica, almeno la principale componente in cui al Terzo settore sarà assegnato – peraltro secondo una discutibile logica top down – un ruolo.
Una affermazione particolarmente preoccupante in un documento di questa rilevanza, non tanto perché, ancora una volta, non riconosce la molteplicità di ruoli che le organizzazioni del Terzo settore e più in generale dell’economia sociale svolgono e ancor più saranno chiamate a svolgere nei prossimi anni e neppure perché siamo alla ricerca di spazi e ruoli per queste organizzazioni – accusa spesso rivolta da chi non sa come replicare ad argomentazioni basate su dati e riflessioni scientifiche – ma perché sembra confinare il Terzo settore solo nelle attività previste da questa componente, marginalizzandolo in tutte le altre. Essa dimostra che gli estensori del documento o non hanno capito o non vogliono capire la natura, il ruolo e la rilevanza trasversale del settore.
In un precedente intervento avevamo già segnalato i pericoli insiti in questa sottovalutazione del ruolo che il Terzo settore può svolgere nel rilancio del paese: se ne sono accorti la Commissione europea, l’Ufficio internazionale del lavoro, l’Ocse, le Nazioni Unite, la Francia, il Regno Unito e diversi altri paesi europei, ma non il nostro ministero dell’economia e delle finanze. È solo questione di ignoranza degli estensori? Difficile da credere data ormai la buona disponibilità di dati e ricerche facilmente consultabili in tempi brevi. Sembra quindi una scelta politica, non si capisce se fatta dai ministri – non sembrerebbe visti i numerosi riconoscimenti pubblici ottenuti dal settore in questi ultimi mesi, a partire dalle dichiarazioni del Presidente del consiglio – o dai funzionari e dai consulenti che hanno stesso le bozze del piano.
Qualsiasi sia la risposta è il caso di provare una volta di più a fare chiarezza, anche con il rischio di risultare noiosi, entrando, anche se solo per cenni e senza pretesa di completezza, nel merito di dove e come opera il Terzo settore, assumendo a riferimento le missioni e le principali componenti indicate nel PNRR.
Innanzitutto va ricordato che tra le organizzazioni di Terzo settore vi sono anche molte migliaia di imprese sociali di diritto o di fatto che, nella ricerca di maggior solidità dopo le difficoltà cui hanno dovuto far fronte in questi mesi, sono già impegnate ad aumentare i livelli di capitalizzazione con risorse private, e che proprio su questo è già stata fatta da IrisNetwork una proposta – presentata anche in più occasioni a ministri e forze politiche – in cui si chiede al Governo di intervenire a sostegno di questo sforzo con una misura che raddoppi in via definitiva o temporanea la raccolta. Una citazione anche di queste imprese, del loro sforzo e della volontà di sostenerlo, nel paragrafo sugli “strumenti finanziari e di leva”, accanto a “filiere industriali, turismo ed economia circolare”, sarebbe quindi più che opportuna.
Cosi come va ricordato che anche Terzo settore e imprese sociali durante la pandemia hanno fatto ricorso spesso prima e più delle altre imprese e della pubblica amministrazione alle tecnologie digitali per garantire l’offerta di servizi e stanno investendo o progettando di investire in quest’ambito non più solo per consentire la continuità dell’offerta, ma per potenziarla e razionalizzarla: sarebbe quindi il caso che si dica esplicitamente che anch’esse e non solo le filiere industriali potranno accedere alle misure previste.
Passando poi dagli interventi trasversali a quelli settoriali, e assumendo a riferimento i dati di realtà e non qualche manuale di programmazione di vecchia data (se ne esistono ancora), è del tutto evidente che Terzo settore e imprese sociali sono già ora attori rilevanti in diversi ambiti – quasi tutti per la verità – e che, se meglio sostenuti e non necessariamente con ingenti risorse pubbliche, possono dare un contributo significativo alla stessa realizzazione del Piano
Seguendo missioni e componenti del PNRR questa rilevanza reale e potenziale risulta di tutta evidenza:
- nel settore della cultura dove accanto alle – per il momento quasi solo auspicate – “imprese creative e artigianali” ci sono decine di migliaia di organizzazioni di Terzo settore che già gestiscono attività culturali tra cui anche “progetti per investimenti su luoghi identitari sul territorio”;
- nel settore dell’agricoltura sostenibile e dell’economia circolare, dove le forme cooperative costituiscono uno dei maggiori player e stanno portando avanti importanti innovazioni sia nel rendere più sostenibili le produzioni delle aziende associate, che nel recupero delle terre incolte – ad esempio con le esperienze di agricoltura sociale – e nella produzione di energia da biomasse;
- nel potenziamento delle competenze e del diritto allo studio dove le varie organizzazioni di Terzo settore garantiscono già ora, avendovi spesso investito proprie risorse, tutta l’offerta privata di scuole per l’infanzia, un grande numero di asili nido e praticamente tutti i servizi territoriali di sostegno ai minori con difficoltà di apprendimento; richiamarne esplicitamente ruolo e funzioni avrebbe reso il testo in cui sono contenute le misure meno generiche rispetto alla funzione ancillare che ora vi compare;
- nelle politiche del lavoro dove gli interventi richiamati vedono già ora il Terzo settore e le imprese sociali in prima linea: nel servizio civile dal momento che sono queste organizzazioni che garantiscono il maggior numero di posti e portano avanti progetti non solo ad elevata valenza sociale, ma anche in grado di garantire ai giovani in servizio la formazione di skill che aiutano l’inserimento nel mercato del lavoro e spesso nella stessa organizzazione a fine progetto; nell’inserimento lavorativo di persone vulnerabili o svantaggiate, dove meritavano almeno un accenno e l’indicazione di qualche intervento di sostegno le più di 5.000 cooperative di inserimento lavorativo con oltre 40.000 svantaggiati regolarmente assunti e remunerati nonostante nel tempo l’assegnazione di lavori da parte delle amministrazioni sia diventata via via più scarsa e meno remunerativa; gli interventi sui Neet che ad oggi vedono impegnate quasi solo organizzazioni di Terzo settore con proprie risorse;
- negli interventi di coesione territoriale dove al posto degli abusati richiami generici a “infrastrutture sociali e misure a supporto dell’imprenditoria giovanile e alla transizione ecologica” era certamente meglio richiamare il potenziale ormai consolidato delle esperienze di amministrazione condivisa e delle cooperative e imprese di comunità;
- negli interventi per “potenziare e riorientare il SSN verso un modello incentrato sui territori e sulle reti di assistenza socio-sanitaria” dove già oggi non è possibile prescindere dalle attività che vedono impegnate organizzazioni di Terzo settore e imprese sociali: dal servizio di trasporto infermi alle varie forme – da quelle più leggere a quelle organizzativamente più impegnative – di assistenza e medicina domiciliare. Nella media nazionale, la sola componente cooperativa pesa sul totale del valore aggiunto prodotto dalla componente privata nel settore della sanità e assistenza sociale per il 46%, con punte superiori al 60% in molte regioni del Nord. Si può davvero pensare di riformare il sistema sanitario in senso territoriale prescindendo da questa componente, o limitandone il contributo solo al tema dell’inclusione?
Questa veloce e incompleta carrellata tra le missioni e le componenti del PNRR dimostra che in questo particolare momento il riconoscimento del ruolo dell’insieme di organizzazioni che agiscono secondo logiche diverse sia dalle imprese private che dalle amministrazioni pubbliche non è un optional, né serve meramente a una loro affermazione, ma è essenziale per lo sviluppo del Paese.
Una consapevolezza che sembrano avere secondo il Giving Report di Vita, il 65% degli italiani ma non il governo e i suoi tecnici. Può darsi che abbiamo frainteso il senso che gli estensori del Piano volevano dare al ruolo del Terzo settore e invece intendessero dire che del Terzo settore si terrà conto in tutti gli interventi in cui sta dando e potrà dare un contributo.
Ma allora perché non affermarlo chiaramente, in premessa, come hanno fatto altri paesi (la Francia ad esempio) e come sta facendo l’Unione Europea, e così finalmente rendere pieno riconoscimento al ruolo dell’economia sociale per la ripresa e la resilienza?
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