Welfare
New York vista dalla mia cella: troppi dei
Lettere dal carcere: "..Dalla mia ridotta specola osservo e le parole fanno fatica ad accettare un dramma così maledettamente ripetibile da persone che sono meschinamente replicanti di se stesse.."
Le dita battono incerte i caratteri sulla tastiera. è difficile cercare la verità in questi momenti così devastanti dove le religioni, gli interessi economici, i poteri forti, le povertà spirituali e intellettuali, il disagio dei tanti giovani e meno giovani, stanno distruggendo l’ultimo barlume di speranza per un mondo nuovo. Un mondo che non sarà mai perfetto, ma si spera lontano, distante, da qualsiasi rispettabile inferno. Le due torri americane non ci sono più, innumerevoli e tutt’ora incontabili saranno le assenze eterne che sono già divenute presenze costanti. Si levano alte le voci di dolore e di disperazione, così i traccianti che stanno delineando i nuovi scenari apocalittici. E’ fin troppo facile giudicare il gesto posto in essere, perché è una follia lucida che esplicita stoltezza di vista prospettica, in tanta arroganza di azione, nonché la stessa inadeguatezza di chi si eleva a Dio in terra, decidendo di fare scomparire un pezzo intero di umanità.
Molto ci sarebbe da dire e molto ci sarebbe da fare per far sì che il nero e il bianco scrivano e si raccontino le loro storie reciprocamente, attraverso un’amicizia che nasce vestita e non travestita di grigio. Dalla mia ridotta specola osservo e le parole fanno fatica ad accettare un dramma così maledettamente ripetibile da persone che sono meschinamente replicanti di se stesse. Condannare, punire, crocifiggere, è tutto troppo facile e penso altrettanto inadeguato alle circostanze.
Ma non spetta di certo a me quantificare le sofferenze che hanno bisogno di liberarsi, non spetta a me equiparare la tragedia dei tanti alle aspettative dei pochi. Con questa ansia nel cuore, rammento la storia, gli eventi, i personaggi, rivedo films e sceneggiati di ieri, e mi accorgo che questa indicibile catastrofe sta da tempo nei video giochi; ma oggi nulla è virtuale, neppure le migliaia di croci a perdere. Rivedo i volti di tanti e forse troppi profeti in patria, semidei e cittadini del mondo, risento applausi per gli slogans, le canzonette ben confezionate, ritrovo le stesse e identiche trame. Però ho difficoltà a intravedere un uomo, dieci, cento, mille, un milione di uomini, che sappiano parlare senza retoriche, senza cattedre, senza attese di medagliamenti, ma che sappiano additare chi riversa sugli altri montagne di risposte senza che mai questi abbiano la possibilità di porre quesiti. Anzi, e peggio, senza alcun ascolto per alcuna preghiera, neppure la più sommessa. Le torri cadono e le persone sono inghiottite dall’assassinio per ben due volte; dalle tante risposte senza domande, dalle tante domande senza risposta.
Qual è l’uomo che in questo momento oltrepassa il limite della ragione, dello spreco degli aggettivi, dei superlativi, e finalmente la smette di creare gabbie di partenza per tutti, nonché etichette e cattivi maestri? Qual è l’uomo che sa parlare agli altri uomini, consigliando di scendere dal piedistallo per dedicarsi a opere davvero convissute? Proprio in questo mercato all’ingrosso della sicurezza si evince la dubitosità che esista qualcuno che possa chiamarsi fuori dall’aver commesso degli sbagli. Manhattan non sarà mai più la stessa, forse lo sarà in qualche modo e in qualche misura in meglio, se sapremo elaborare la nostra immaturità, se sapremo sconfessare l’assassinio e gli assassini di ogni parte e di ogni dove, e infine portarci al centro della meta, quel centro che è l’uomo, ma anche i mondi da noi tralasciati ai bordi della coscienza, dove l’ingiustizia partorisce idee di morte ed eroi di cartapesta. Lo potremo fare distaccandoci ognuno, anche solo per alcuni istanti, dalle nostre nicchie accudenti, per avvicinarci a un’attenzione sensibile con occhi e sguardi nuovi.
Vincenzo Andraous, carcere di Pavia
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