Economia

Net economy in ripresa? Qualcosa si muove…

Proprio sicuri che le crisi di borsa, moda, musica siano causate dalla Rete?

di Riccardo Bagnato

Madre di tutte le bolle speculative fu, dicunt, la new economy. Furono le dot.com, ovvero le aziende internet e/o affini che, quotate in Borsa, garantivano guadagni inimmaginabili in tempi brevissimi, indipendentemente dalla solidità del proprio business. Ma poi i crack finanziari non finirono, e non coinvolsero esclusivamente net company, com?è stato il caso prima di Enron e poi di Worldcom. O come nel caso della megafusione fra Time-Warner e America online. E’ notizia di qualche settimana che il suo vice, Ted Turner (per intenderci quello che ha fondato la Cnn), se ne va, per darsi alla filantropia. Si parlò di bolla speculativa anche per il mondo della moda, e di crisi si parla da mesi a proposito del calcio. E oggi, un interessante articolo su Wired (Wired 11.02), parla del crollo di una fra le industrie che opera in uno dei settori più redditizi degli ultimi decenni: la musica. Secondo la rivista, infatti, le vendite dei cd sono calate dell?11% nei primi sei mesi dello scorso anno. Parallelamente, la vendita di cd vergini, per masterizzazioni di ogni genere, è aumentata del 40% nel 2002. Mentre il numero degli utenti di Kazaa (uno fra i maggiori programmi di file-sharing, cioè di scambio di contenuti gratuiti: Kazaa Media Desktop), è triplicato. Modelli di sviluppo in crisi che oggi, di fronte a guerre, ingiustizie sociali e incertezze sul futuro, spingono il consumatore a ridurre ogni tipo di speculazione a suo carico e a liberarsi del superfluo: marchi, loghi o quant?altro non sia ritenuto essenziale. Dietro suggerimento di Wired ci permettiamo allora di descrivere la situazione in cui versano le case discografiche in questo modo a guisa forse di monito o, se si preferisce, di semplice riflessione: detestate dai politici (perché corrompono i giovani), dalle radio e da internet (perché impongono royalty), dai consumatori (a causa dei prezzi ingiustificati), e dai musicisti (che di fatto non si fidano più e creano una propria casa discografica indipendente). Forse che l?avidità non è solo un peccato capitale, ma è il peccato… del capitale?


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