Di Marco mi rimarrà per sempre soprattutto un’immagine. Recente, ma non per questo motivo. Piuttosto perché dice di lui quello che era un suo carattere fondamentale, che me lo ha subito fatto stimare e costantemente sentire davvero vicino: Marco Pannella era soprattutto un combattente, instancabile e determinato come nessuno.
Pochi mesi fa eravamo nel carcere di Opera, una settimana prima di Natale, per il congresso di “Nessuno Tocchi Caino”, con Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti, Rita Bernardini e tanti altri, radicali e non. Due giorni di riflessioni e interventi centrati sul tema dell’ergastolo ostativo, quella “pena sino alla morte” cui sono condannate, contro la Costituzione e ogni senso di umanità e civiltà giuridica, oltre 1100 persone. Uomini sepolti vivi per sempre in virtù di una legge iniqua, di interpretazioni capziose e di logiche vendicative.
Nel salone del carcere assisteva (ma prendeva anche la parola) una platea di detenuti, perlopiù appunto ergastolani. Molti, naturalmente, gli agenti di custodia; per una volta, però, attenti alle parole, non solo a controllare i gesti. Presenti anche il capo delle carceri, Santi Consolo, e Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale e già ministro Guardasigilli. Nell’occasione, nei rispettivi interventi – entrambi – Flick anche con una onesta e coraggiosa autocritica rispetto a posizioni precedenti – si sono pronunciati per l’abolizione di quella disumana pena; una presa di posizione forte, dato il pulpito e il ruolo, che in altri tempi o in paesi diversi dal nostro avrebbe dato i titoli delle prime pagine e di cui, invece e naturalmente, nessuno dei giornalisti pure presenti si accorse o ritenne di dare adeguato conto.
Esauriti il primo giorno gli interventi più istituzionali, nel giorno seguente il clima appariva meno formale ed era più facile accorgersi di come Marco nel carcere si trovasse davvero a casa sua e di quanto fosse circondato dall’affetto straripante dei reclusi, ma anche dalla stima dei poliziotti e del personale penitenziario.
Mentre parlava un oratore, dal tavolo della presidenza dove era seduto anche Pannella, cominciò a sentirsi un tambureggiare ritmico, prima leggero, appena avvertibile, poi via via crescente sino a farsi sovrastante e infine accompagnato dalle parole: ce n’est que un début, continuons le combat.
Marco andò avanti a ripetere a voce sempre più alta lo slogan degli studenti francesi del maggio ’68, sino a che quella platea eterogena composta da assassini, giovani universitari, docenti, guardie e ladri, preti e mangiapreti, privilegiati e deprivati di tutto, cominciò a seguirlo e a scandire quelle parole di rivolta e di speranza.
Un momento magico e incredibile, tanto più considerando il luogo, nel quale il gigante ferito dagli anni e dalla malattia rivelava intatta la sua capacità ammaliatrice e trascinante. Scandendo inopinatamente (e profeticamente, dato che ora sembra attualizzato dal diffuso fermento che scuote la Francia in queste settimane) quello slogan famoso, Marco parlava forse di sé, della fine che sentiva vicina, con la promessa – a sé e a noi che lo ascoltavamo un po’ sorpresi -, di andare oltre, di non soccombere neppure di fronte alla morte.
Allo stesso tempo, con quell’incitazione a non smettere di lottare, mi parve che parlasse di me, di noi, di chiunque sentisse o avesse mai sentito nella vita la spinta e il bisogno di rivoluzionare l’esistente. Che ci regalasse un ultimo invito a continuare “in ciò che era giusto”, come lasciò detto un’altra grande figura, Alex Langer; fosse pure a combattere contro i mulini a vento, come Marco ha spesso fatto.
Questo è allora il messaggio che mi pare, davvero, ci abbia lasciato. Perché lui, il leone indomabile, sta continuando anche adesso, anche domani, la sua e le nostre battaglie. Non possiamo lasciarlo solo, come lui non ha mai lasciati soli noi, specie quando eravamo nel pozzo nero delle carceri speciali, senza poter immaginare alcun futuro, ma avendo una certezza, che non andò mai tradita, neppure una volta. Ovvero che lui, con i Radicali, era al nostro fianco nelle battaglie più difficili, solitarie e contrastate, come quelle contro le leggi dell’emergenza e contro la tortura del “carcere duro”. Che lui e i suoi più stretti non si limitavano a combattere battaglie ideali e politiche, ma offrivano vera vicinanza; che, senza fallo, per decenni lui e i suoi sarebbero venuti a trovarci in carcere ogni Natale e ogni Ferragosto, a praticare da laici precetti evangelici.
Lì, in quel pozzo nero, oltre trent’anni fa, ho conosciuto Marco e le persone migliori che ho avuto la ventura di incontrare nella vita e che mi hanno regalato un’amicizia per me imperitura, come anche Franco Corleone e pochi altri. E non c’è nessuna distanza politica su singoli aspetti, come ad esempio il liberismo in economia o certe posizioni in campo internazionale, che possa togliere un solo grammo dell’affetto, della stima e della riconoscenza che provo per Marco Pannella.
Continuiamo a combattere, Marco. Anche grazie a te.
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