Welfare

Nessuna difesa corporativa. Ma sull’inserimento lavorativo l’efficienza della cooperazione sociale non può rimanere nell’ombra

Il Libro bianco di Federsolidarietà

di Maurizio Regosa

Una assoluta novità: «Accanto al percorso istituzionale, per l’elaborazione del Libro bianco La cooperazione sociale per l’inserimento lavorativo c’è stato un processo partecipativo attraverso il web». Gianfranco Marocchi, presidente del consorzio Idee in rete, ha accompagnato tutto il percorso del documento elaborato da Federsolidarietà Confcooperative.
Quali i temi principali?
Anzitutto una premessa: abbiamo voluto uno strumento che fosse anzitutto una riflessione sul tema del lavoro e del diritto al lavoro e non la celebrazione del contributo delle cooperative sociali nell’ambito dell’inserimento. Ciò detto, i filoni su cui la discussione si è più concentrata sono stati tre. La cooperazione come luogo di attenzione alla persona, come strumento nell’ambito delle politiche attive del lavoro e infine come soggetto di sviluppo locale. Il problema non è difendere lo spazio delle cooperative. Se in tutti gli appalti qualsiasi impresa, cooperativa e non, avesse un premio per gli inserimenti sociali e lavorativi, si darebbe un contributo a cambiare il mercato. Aggiungo che, realisticamente, se devi inserire persone con disagi molto specifici, lo strumento più adatto è senza dubbio la cooperazione sociale.
Chiedete anche il riconoscimento del valore formativo delle cooperative…
Vogliamo sia riconosciuto anche da un punto di vista economico. La cooperativa inizia un percorso, impiega due anni per portare la persona da inserire su un maggior livello di abilità, poi fa di tutto perché questa persona sia inserita nel mercato del lavoro. A quel punto la cooperativa deve iniziare da capo. Dal punto di vista aziendale vuol dire produrre una esternalità positiva molto forte, si può chiedere un riconoscimento. Quando collochi all’esterno delle persone hai fatto qualcosa a beneficio della società. Servono incentivi.
Non è il ruolo ponte affidato alle coop?
Certo, ma va detto che in un contesto in cui la disoccupazione è in continuo aumento, realizzare uno specifico programma di sostegno e inserimento vuol dire accollarsi una fatica in più.
Occorre aggiornare la definizione dello svantaggio?
Vent’anni fa c’era una situazione completamente diversa. Per esempio non c’era, o era minimo, il tema del lavoro delle persone provenienti da altri Paesi, erano poco rilevanti certe urgenze come quelle che riguardano le persone troppo vecchie per essere assunte e troppo giovani per andare in pensione, o quelle delle madri sole con figli a carico. È evidente che le situazioni cambiano. D’altra parte una cooperativa non risponde solo ai bisogni della legge, vi è una quota di persone (circa 20%) socialmente deboli, svantaggiati non riconosciuti, che sono comunque oggetto di inserimento. Penso che si potrebbe aggiornare la definizione di svantaggio articolando meglio e con gradualità i diversi benefici.
Il documento si chiude con una dedica all’Italia.
Non per dire che con la cooperazione, che è agente di sviluppo locale, risolveremo la crescita stagnante. Sarebbe folle pensarlo. Abbiamo voluto sottolineare, e nel nostro piccolo l’abbiamo realizzato, che è possibile fare sviluppo anche con le persone che solitamente il mercato del lavoro esclude. Utilizziamolo come esempio e come patrimonio comune.

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