Welfare

Nessun finanziamento alle strutture con più di 6 posti

Ci sono più di un centinaio di persone con sindrome di Down in Italia che con gradi di autonomia diversa vivono da soli, spiega Sergio Silvestre, presidente di CoorDown. In base a questa esperienza, ecco cosa non va nella proposta di legge sul Dopo di Noi.

di Sara De Carli

L’ultima campagna di CoorDown, in occasione della Giornata Mondiale sulla sindrome di Down del 21 marzo scorso, raccontava “The Special Proposal”: ovvero la proposta di andare a vivere insieme che Salvatore faceva a Caterina, la sua fidanzata. Salvatore e Caterina (nella foto sotto) sono una coppia di giovani con sindrome di Down che da anni seguono un percorso di autonomia abitativa. Sognavano di vivere insieme, da soli, e ce l’hanno fatta. «Ci sono più di un centinaio di persone con sindrome di Down in Italia che con gradi di autonomia diversa vivono da soli», spiega Sergio Silvestre, presidente di Coordown. Lo prevede la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che parla esplicitamente del diritto di scegliere in autonomia il proprio futuro, di vita indipendente e inclusione nella società e di rispetto del domicilio e della famiglia. A Silvestre quindi abbiamo chiesto di intervenire nel dibattito sulla futura legge per il Dopo di Noi.

Partiamo dall’esperienza concreta. Il Dopo di Noi può significare davvero percorsi di vita indipendente?

Certo, noi stiamo andando speditamente in questa direzione. Abbiamo progetti individuali sperimentali in questo senso da 10/12 anni, riconosciuti dalla legge. Il punto è che dopo 12 anni questi percorsi dovrebbero uscire dallo stato di sperimentazione e invece non accade. La legge sul Dopo di Noi sarebbe l’occasione giusta per farlo, per il momento non è così. Abbiamo più di un centinaio di persone che partecipano a questi progetti, i risultati sono molto positivi. Non è facile farli nascere perché Regioni e Asl non ci supportano più di tanto, dal momento che questi progetti hanno costi di avvio molto alti. Però oggi abbiamo persone che hanno una copertura educativa di un’ora alla settimana, che è niente. Quindi a regime c’è un risparmio, lo abbiamo dimostrato, bisogna soltanto capire che nell’educazione la logica non può che essere quella dell’investimento.

Quindi la legge, per come è in questo momento il testo, rischia di essere un’occasione mancata?

Rischia di essere, come è accaduto di recente per altre leggi sulla disabilità, una legge nuova che non risolve minimamente il problema, ma si limita a mettere a disposizione un po’ di soldi, senza concretizzare il diritto di ognuno a vivere la propria esistenza. Peraltro pochi fondi su una platea indefinita rischiano di mancare persino l’obiettivo minimo di dare una soluzione ai disabili gravissimi, quelli che davvero oggi hanno come unica prospettiva per il Dopo di Noi l’istituzionalizzazione. Nel testo di legge quasi non si parla della persona con disabilità e dei suoi diritti, basta leggerlo, è sotto gli occhi di tutti che gli articoli 5 e 6, quelli dedicati alle assicurazioni e al trust, sono incomparabilmente più minuziosi e dettagliati dei precedenti. E allora diciamocelo: che legge è? È una legge sul Dopo di Noi o una legge per introdurre il trust?

Rischia di essere, come è accaduto di recente per altre leggi sulla disabilità, una legge nuova che non risolve minimamente il problema, ma si limita a mettere a disposizione un po’ di soldi

Sergio Silvestre

Il trust non serve?

La mia personale opinione è che se si vuole riconoscere lo strumento del Trust, allora bisognerebbe inserirlo nell’ordinamento primario, ovvero nel Codice civile. Quale occasione migliore se non eliminarlo dal testo sul Dopo di noi e assegnare l’argomento alla Commissione Giustizia, che sta discutendo proprio in questi giorni il tema della riforma del Codice civile per quanto riguarda l’amministrazione di sostegno, tutela e diritto di famiglia? È il posto giusto per normare l'intera materia. E comunque come minimo in una legge sul Dopo di Noi andrebbero citati anche tutti gli altri strumenti esistenti per segregare il patrimonio in favore di un familiare con disabilità, nel Codice civile abbiamo già strumenti molto precisi per gli immobili e i beni mobili registrati: altrimenti sembra che il trust sia l’unico strumento che tutela il Dopo di Noi.

Come Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità abbiamo chiesto che dopo il 31 dicembre 2016 le strutture residenziali destinate a persone con disabilità con più di 6 posti non possano ottenere contributi o finanziamenti o quantomeno che queste strutture non possono accedere ai contributi del Fondo istituito dalla legge, che parla di “interventi innovativi di residenzialità”.

Sergio Silvestre

Che osservazioni fare per migliorare il testo della proposta di legge?

Bisogna rendere prioritari gli interventi sulle persone (contro la segregazione e per la deistituzionalizzazione) rispetto alla realizzazione di strutture e residenze. Bisogna evitare la riproposizione di strutture come RSA o soluzioni lontane da condizioni abitative non riconducibili a modelli familiari e promuovere invece soluzioni community-based, cioè piccole strutture inserite nella comunità, in cui le persone con disabilità possano condurre una vita il più normale possibile all’interno della propria collettività, oppure di sostegni adeguati per rimanere nella propria casa anche in assenza di sostegno familiare. Noi come Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità abbiamo chiesto anche che venga introdotto un articolo 4 bis per il Contrasto ai trattamenti segreganti. Chiediamo che Stato, Regioni e Comuni adottino tutti i provvedimenti di loro competenza finalizzati ad impedire che le persone con disabilità siano vittime di segregazione, in particolare impedendo residenza impropria o presso strutture che per numero di ospiti e caratteristiche non consentano la piena inclusione e non riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare, che dopo il 31 dicembre 2016 le strutture residenziali destinate a persone con disabilità con più di 6 posti non possano ottenere contributi o finanziamenti o quantomeno che queste strutture non possono accedere ai contributi del Fondo istituito dalla legge, che parla di “interventi innovativi di residenzialità”. Non so come verranno considerate queste richieste, ma sono le stesse cose che abbiamo già scritto nel Piano d’Azione biennale: lo dico sommessamente, ma forse era opportuno leggere quel documento prima di mettersi a scrivere una legge sulla disabilità.

Foto Getty Images

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