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Nepal, un anno dopo il terremoto la crisi con l’India blocca la ricostruzione

Il 54% delle persone vive ancora in ricoveri temporanei, spesso vicino alle case crollate. I fondi ricevuti dal governo non sono ancora stati utilizzati, mentre le ong sono attive nonostante le difficoltà: tra le crisi dimenticate ecco come si vive in Nepal a un anno dal terremoto

di Donata Columbro

Sono almeno 4,1 miliardi di dollari i soldi raccolti per la riabilitazione di case e edifici stanziati dalla conferenza dei donatori lo scorso giugno. Ma il governo nepalese non è ancora riuscito ad avviare la fase di post emergenza perché bloccato da una crisi istituzionale e amministrativa scoppiata poco dopo il sisma. È la situazione del paese un anno dopo il terremoto che ha ucciso più 8800 persone, distrutto 605.254 case e danneggiato altre 288.255 abitazioni in 14 distretti, secondo le stime dell’Onu. Anche molte strutture pubbliche fanno la stessa fine: 35mila le classi distrutte e ancora oggi più di 1 milione di bambini non hanno una scuola in cui tornare. Sono le conseguenze di due scosse, una di magnitudo 7,9, il 25 aprile, e l’altra, di magnitudo 7,3 con epicentro a 76 chilometri dalla capitale Kathmandu, che ha colpito il paese il 12 maggio.

Secondo le stime del governo i danni ammontano a 5,17 miliardi di dollari, e se nel paese la percentuale di popolazione sotto la soglia di povertà è pari al 25%, entro il 2016 altri 700mila nepalesi rischiano di rientrare nella fascia di chi vive con meno di un dollaro al giorno.

Oggi centinaia di migliaia di cittadini si stanno preparando a passare la seconda stagione dei monsoni in rifugi temporanei, ma solo l’1% vive nelle tende dei campi allestiti dopo il terremoto. Percentuali positive, secondo un report di Agire, Agenzia italiana di risposta alle emergenze, “se confrontate con il devastante terremoto di Haiti del 2010, dove a un anno di distanza su tre milioni di persone colpite, oltre un milione e mezzo viveva in tendopoli senza servizi e un’epidemia di colera imperversava tra gli sfollati”.

Perché i ritardi nella ricostruzione
Il 20 settembre il paese ha approvato una nuova costituzione: la nazione è diventata una repubblica laica e federale formata da sette stati, ma questo cambiamento ha provocato le proteste delle minoranze madhesi e tharu, nella regione al confine con l’India, che hanno bloccato il trasporto di beni e il rifornimento di carburante da cui dipende l’intero fabbisogno nazionale.


La conseguenza è che le attività di sostegno alla popolazione sono rallentate e le agenzie in alcuni casi non sono in grado di garantire i trasporti di beni essenziali a chi si trova nel bisogno, come denunciano le ong di Agire, o comunque devono muoversi in assenza totale di coordinamento con il governo. I prezzi delle derrate alimentari essenziali (olio per cucinare, riso, lenticchie, zucchero e sale) sono cresciuti del 50-60% e ogni giorno le file per acquistare carburante e beni alimentari bloccano la capitale Kathmandu.

Le organizzazioni internazionali sembrano però aver fatto tesoro dell’esperienza haitiana e hanno attivato una rete di coordinamento degli aiuti: Caritas Nepal ha finora fornito aiuti d’urgenza a più di 300mila persone, tra cui prodotti per l’igiene e acqua potabile per 38mila famiglie, cibo e sementi per 34mila famiglie e aiuti per ristrutturare 400 scuole.

Per l’Italia le sette ong della rete (ActionAid, CESVI, GVC, Intersos, Oxfam, SOS Villaggi dei Bambini, Terre des Hommes) hanno raccolto 1,4 milioni di euro di donazioni, che sono stati utilizzati per sostenere oltre 280.000 nepalesi, contribuendo alla ricostruzione e al miglioramento delle condizioni di vita con progetti specifici in 10 dei distretti più danneggiati, in particolare nelle zone montane più remote e vicine all’epicentro.

Dei fondi raccolti il 91% è andato direttamente ai progetti, un 1% al monitoraggio e alla valutazione dell’impatto degli interventi sul campo e solo l’8% ai costi di supporto.

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