Sostenibilità

Nell’Itala tropicale addio ai produttori tipici

Sono le culture dop e doc le prime vittime del surriscaldamento globale. Un patrimonio che rischia di scomparire. E che invece dovrebbe essere utilizzato proprio come arma di difesa dall’effetto serra

di Paolo Manzo

Dop e doc. Sono loro a rischiare maggiormente l?estinzione dai cambiamenti climatici in atto, altro che i ghiacci dell?Artide. A sostenerlo è Giampiero Maracchi, uno dei massimi esperti sul tema in Italia e che ci aveva già ?preso? lo scorso anno quando, in qualità di consulente di Coldiretti, aveva anticipato la torrida estate della pianura padana. «Il vero rischio per l?economia agricola italiana riguarda proprio loro, ovvero le produzioni su cui invece bisognerebbe puntare per salvare il pianeta, perché le maggiormente sostenibili». Professore di climatologia all?università di Firenze, Maracchi dirige l?Istituto di biometereologia del Cnr e, forse per questa sua metodologia più portata a osservare il passato che a prevedere il futuro, apprezza «poco o nulla le previsioni e il catastrofismo dell?Ipcc», il Gruppo intergovernativo sull?evoluzione del clima che venerdì 2 febbraio ha pubblicato il quarto rapporto sul riscaldamento del pianeta (vedi box). E con il quale collabora per l?analisi dei dati storici, «inequivocabili nel dirci che negli ultimi 15 anni c?è una chiara tendenza verso il riscaldamento del pianeta».

Vita: Ci dobbiamo dunque aspettare una pianura padana ridotta a deserto?
Giampiero Maracchi: No, così come non avremo mai le piante tropicali in provincia di Bergamo, per il semplice fatto che non ce ne sono i presupposti: anche se facesse caldissimo durante l?inverno, queste hanno bisogno di tot ore di luce. A meno di modificazioni astronomiche che porterebbero comunque alla distruzione del pianeta…

Vita: Cosa dobbiamo allora temere dagli scenari tracciati dal rapporto dell?Ipcc?
Maracchi: Innanzitutto bisogna capire che dobbiamo cambiare rotta. Una cosa, del resto, che si capisce benissimo anche dai dati della compagnia Munich Re, che assicura le assicurazioni. Sono impressionanti e ci dicono che, dal 1990 a oggi, il valore delle perdite da catastrofe naturale è triplicato rispetto al periodo dal 1960 al 1990. Insomma, il trend è chiaro.

Vita: Perché sono le produzioni italiane tipiche, quelle a denominazione di origine, le più a rischio?
Maracchi: Il problema centrale è che si sta modificando la circolazione delle masse d?aria, il che vuol dire che cambiano le stagioni. Insomma, si è rotto l?orologio, si è guastata la macchina del clima. Ma lei sa che da anni in Piemonte c?è un problema di siccità durante l?estate che, ad esempio, non esiste in Lombardia, proprio a causa di questo cambiamento di circolazione dell?aria? Sa che abbiamo fatto uno studio sul vino in Veneto e abbiamo riscontrato che la climatologia regionale è già da vino da dessert, da marsala? Certo, ci si salva grazie alle tecnologie, ma è proprio il rischio che i prodotti locali possano essere snaturati quello che mi preoccupa di più. Anche perché dovrebbero essere la cura dei cambiamenti climatici e, invece, rischiano di esserne la prima vittima.

Vita: In che senso la cura?
Maracchi: Mi dica, a parte il fatto che costano meno, che senso ha importare i pomodori dalla Cina, quando ne abbiamo dei fantastici in Maremma e quando, è assodato, il trasporto è responsabile per il 40% dell?effetto serra? A mio avviso bisognerebbe tornare a una sorta di autarchia territoriale, cercando il più possibile di produrre localmente, il che risolverebbe pure dei problemi di occupazione. Inoltre, per evitare gli enormi danni da trasporto, dovrebbero essere introdotte delle tasse ambientali e, naturalmente, anche per i pomodori pachino che volessero acquistare i cinesi…

Vita: La soluzione, per ridurre il surriscaldamento climatico, potrebbero essere i biocarburanti?
Maracchi: Premesso che i biocarburanti mi piacciono, vale lo stesso discorso dei pomodori. È inutile usare il biodiesel se lo si importa dal Brasile perché costa meno di quello prodotto in Italia: il costo ambientale del trasporto brucerebbe totalmente la riduzione della dipendenza dall?energia fossile.

Vita: Cosa la preoccupa maggiormente dopo aver visto il rapporto Ipcc?
Maracchi: La mancanza di un dibattito sul modello economico, e non tanto quello sulle energie alternative. Il problema è che siamo su un pianeta finito, per cui le risorse devono essere usate in modo rinnovabile. Il problema è che oggi ci sono 5,2 miliardi di persone che stanno avviandosi a fare lo stesso percorso che l?Occidente, con la rivoluzione industriale, ha fatto negli ultimi quattro secoli. E siccome ne hanno diritto anche perché, anche se noi non volessimo, questo diritto se lo prenderebbero comunque perché sono più di noi, io mi chiedo: è possibile che arrivino dove siamo noi attraverso strade diverse? È su questo interrogativo, a mio avviso, che si gioca il futuro del pianeta. È sul modello economico che si deve discutere e non sul protocollo di Kyoto, già superato perché nel 1997 Cina e India, ovvero 2 miliardi di persone, non erano state considerate perché due nazioni in via di sviluppo…


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