Non profit

Nell’eremo camaldolese la vacanza è un incontro

di Redazione

In questi fine settimana di piena e calda estate, non di rado capita di imbattersi in qualche coda autostradale che immediatamente ti fa domandare quale sia la vacanza della maggior parte della gente. C’è infatti una vacanza del consumo, tutto autogrill e spiaggia, per la quale si è disposti anche al sacrificio di svariate ore in auto. E poi la “vacanza dell’incontro”, che necessita di una curiosità di fondo.
Per pura curiosità, giorni fa, sono uscito al casello di Fano, per dirigermi verso il Monte Giove, dove le indicazioni segnalano un eremo di monaci camaldolesi. Arrivi molto in alto e una volta posteggiata l’auto ti si apre un ampio complesso circondato dai boschi, con una vista incredibile che da sola vale il viaggio. Qui vive una comunità di monaci, guidata dal dinamico padre Natale. Ogni monaco ha una casetta su due piani, con tanto di orto e di giardino, che rappresenta un piccolo eremo dove ognuno si ritira. Le strutture intorno servono per dare ospitalità a chi vuol passare qualche giorno in questa pace. E si può curiosare nello spaccio dove vengono venduti i liquori di Camaldoli, molto pregiati e conosciuti, le strepitose marmellate delle monache trappiste di Vitorchiano e le birre prodotte nei monasteri di mezza Europa. Con padre Natale siamo stati anche a visitare la cantina del convento, che fino a vent’anni fa era ancora attiva, come testimoniano le botti in legno.
E lì m’è sembrato di trovarmi in una di quelle situazioni dell’alto Medioevo, quando i monasteri erano comunità aperte, che raccoglievano attorno all’opera agricola un vasto numero di nuclei familiari e quindi di saperi. Padre Natale mi ha salutato con un arrivederci, giacché in questi anni ci si è visti tante volte insieme a Massimo Folador (autore del libro L’organizzazione perfetta, Guerini e Associati) a parlare di impresa partendo dalla regola di San Benedetto. Ma quando inizieremo a parlare di turismo, sulle orme del monaco di Norcia?

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