Cultura
Nell’emergenza Covid la nave sta affondando ma il capitano salva solo sé stesso. E i più fragili?
Nei primi giorni della Fase 2, dal 5 al 7 maggio, torna in live streaming il Festival dei Diritti Umani dedicato alla disabilità e con uno slogan preciso: “Da vicino nessuno è disabile”. «Nel rapporto umano», spiega Alberta Basaglia, tra gli ospiti della quinta edizione, «non si sceglie la disabilità, ma le persone che abbiamo davanti a prescindere da questa». In questi mesi di emergenza i diritti dei più fragili sono stati messi in discussione: «Ci siamo accorti», denuncia Alberto Fontana, consigliere di Ledha, che parteciperà al Festival, «di essere trasparenti. Il Paese non ci vede come una risorsa, perciò in tutte le decisioni politiche veniamo contemplati come “la questione che viene dopo”. Ed è una cosa inaccettabile»
di Anna Spena
“Visto da vicino nessuno è normale”. È in queste poche parole che si racchiude il pensiero di Franco Basaglia, psichiatra italiano, riconosciuto come il padre della legge 180 sulla riforma psichiatrica che ha portato, 40 anni fa, alla chiusura dei manicomi. Ed è da questa battuta lapidaria che racchiude il suo pensiero rivoluzionario che il Festival dei Diritti Umani, in scena dal 5 al 7 maggio in live streaming, ha costruito la quinta edizione del Festival dedicata alla disabilità.
Con lo slogan, “Da vicino nessuno è disabile” e gli hashtag #tuttiabili e #nessunodisabile, il Festival dei Diritti Umani in questa tre giorni vuole smontare i luoghi comuni legati alle persone con disabilità, capovolgerli e spiegare appunto che “essere vicini” è la chiave di tutto.
«Se ti metti in gioco con le persone che hai davanti», racconta Alberta Basaglia, psicologa, vicepresidente della Fondazione Franco Basaglia e figlia del patriarca della Legge 180, che parteciperà al Talk “Il coraggio di andare contro” (qui il programma completo della tre giorni), «ne riconoscerai forze e debolezze, diversità. Ed è questo il punto: nel rapporto umano non si sceglie la disabilità, ma le persone che abbiamo davanti a prescindere da questa».
È facile chiedersi per chi vive nella parte “comoda” del mondo perché parlare ancora di diritti. Ce li abbiamo, li vediamo, sono nostri. A chi verrebbe mai in mente di metterli in discussione. Invece «parlare dei diritti è un dovere», continua Alberta Basaglia «perché anche quando ci sembrano dati, anche quando sembra che siano entrati nel pensiero comune, spesso capita che nella vita quotidiana il pensiero comune si trasformi in pensiero solitario e ognuno bada a sé stesso, si occupa solo dei suoi di diritti».
Ma i diritti sono inclusivi per natura, altrimenti si non potrebbero definire tali. Tenere viva la memoria quindi è uno strumento che ci tutela dalla deriva: «ci vuole un attimo a passare da un mondo di diritti all’assenza di diritti. I manicomi c’erano e adesso non ci sono più. Le persone con sofferenza mentale venivano rinchiuse, legate, il mondo era a loro sconosciuto e loro erano sconosciuti al mondo. È stata una battaglia lunga, difficile, far sapere a tutti che queste persone esistevano e che era un orrore sapere un essere umano ridotto così. La denuncia è stata fatta, rifatta, e poi rifatta ancora. È così che nel pensiero comune, il diritto alla vita delle persone con sofferenza mentale si è trasformato in un diritto di tutti: i manicomi dovevano essere chiusi. Ma se rimuoviamo dalla memoria questo, si torna indietro. Per questo dobbiamo ricordarci e ricordare quanto erano terribili quei posti».
Eppure in questi mesi di emergenza da Coronavirus, presi dalla paura per le nostre vite abbiamo forse messo da parte il valore delle vite degli altri? «Guardate cosa succede quando ci dimentichiamo dei diritti dei più fragili», continua Basaglia, «In queste settimane il welfare non è stato capace di curare le persone, non è stato capace di non lasciarle morire, non ha saputo rispondere ai più fragili appunto, i più esposti alla pandemia».
Noi non siamo abituati a fare i conti con la paura: «Rifiutiamo il “diverso”», dice Basaglia, «basti guardare agli immigranti, ci fanno paura, perché? Allo stesso modo ci fanno paura la fragilità e le persone con disabilità, e quella paura del diverso la rifiutiamo invece di affrontarla».
Che la disabilità sia psichica o fisica, come la fragilità, la paura di quanto non conosciamo ci blocca. Può avere una motivazione sensata?, domandiamo ad Alberto Fontana, consigliere di LEDHA – Lega per i diritti delle persone disabili, che il 5 maggio parteciperà nella Sezione TALK del Festival dei Diritti Umani al panel “Coronavirus: scoprirsi fragili, ripartire diversi?”. «Se smettessimo di soffermarci solo sull’aspetto “estetico” e guardassimo le persone disabili con consapevolezza capiremmo che hanno aspettative di vita e ambizioni come tutti».
Alberto Fontana ha la SMA, atrofia muscolare spinale, e di quella corrispondenza di sogni, desideri e aspettative ne ha la prova tangibile: la sua vita. «In questo momento di difficoltà collettiva», spiega Fontana, «ci siamo accorti di quanto per certi versi siamo ancora più trasparenti rispetto a prima». Quella di Fontana non è una lamentela, ma un’analisi precisa di quello che è successo: «È sotto gli occhi di tutti», dice, «la società ha abbandonato le persone fragili». L’immagine che restituisce Fontana per spiegarci cosa il sistema politico non ha fatto in queste settimane per tutelare i diritti di tutti è chiarissima ed efficace: «Se sta affondando una barca il capitano urla “prima i bambini”, e i bambini sono i fragili. In questo caso invece il capitano ha urlato: “prima tutti gli altri e poi i fragili, gli anziani, i disabili». Una triste realtà che il Festival dei Diritti Umani tiene a portare a galla con il preciso intento di fare alzare lo sguardo, soprattutto alle nuove generazioni, sui diritti delle persone con disabilità.
«Il Coronavirus ci ha messo davanti a una verità triste: il Paese non ci vede come una risorsa, non ci vede come gli altri», conferma Fontana. «Perciò veniamo contemplati nella migliore delle ipotesi come “la questione che viene dopo”, nella peggiore non veniamo considerati affatto».
Ma è adesso, con questa consapevolezza nuova, che si costruiscono le basi per quello che verrà dopo: «Credevamo che i diritti delle persone con disabilità fossero tutelati, ma non è così. Basti guardare al tavolo di lavoro per la scuola, nessuna voce per rappresentare gli alunni con disabilità che pure sono un numero corposo. Le famiglie con figli disabili con l’emergenza Covid si sono trovate, di fatto, abbondonate a se stesse. Come è successo ai nostri anziani nelle Rsa, messi a contatto con pazienti Covid senza alcuna cautela».
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